5 QUADRI di CARAVAGGIO nella GALLERIA BORGHESE Guida alle opere di Michelangelo Merisi nel museo romano

ottavio leoni ritratto caravaggio
Ritratto di Caravaggio#googleimages

Michelagnolo Amerigi fu uomo satirico, e altiero; ed usciva talora a dir male di tutti i pittori passati, e presenti, per insigni che si fossero; poiché a lui parea d’aver solo con le sue opere avanzati tutti gli altri della sua professione.

In questo articolo ci immergeremo nei terribili

  • quadri di Caravaggio

conservati nello splendido scenario del museo romano immerso nel verde, a tutti noto come:

  • Galleria Borghese.

La storia del Parco, della Villa e della Galleria è legata a doppio filo con la famiglia Borghese che ebbe nel ‘600, con l’elezione al soglio pontificio di papa Paolo V Borghese, il suo apice assoluto.

Ma il deus ex machina di questa collezione originalissima fu il nipote del papa: il cardinal nepote Scipione Borghese che con audacia e sfrontatezza raccoglie sin da subito, tra le pareti della sontuosa villa, una serie di opere d’arte di valore assoluto.

E qui troviamo nomi senza tempo della storia dell’arte come Raffaello, Tiziano, Rubens, Bernini e poi Antonello da Messina, Giovanni Bellini, Canova… oltre ai celeberrimi quadri di Caravaggio.

I quadri di Caravaggio e la stanza del Sileno

I quadri di Caravaggio che oggi puoi ammirare nella Galleria sono raccolti tutti nello stesso ambiente: la sala n. 8 o stanza del Sileno, così chiamata per la presenza al centro della sala di una statua raffigurante un Satiro Danzante di epoca romana, poi restaurata dallo scultore neoclassico danese Bertel Thorvaldsen.

Oggi, le opere di Michelangelo Merisi visibili nel museo sono… sei! Dal nostro percorso in 5 opere resterà fuori il San Giovannino, dipinto tra il 1609 ed il 1610, su cui forse avremo modo di tornare in futuro.

In origine, le tele del pittore lombardo raccolte dal cardinale Borghese erano addirittura 12, ma poi alcune di esse, nel corso del tempo, sono state trasferite in altri musei.

Ma prima di scoprire insieme le 5 opere di Michelangelo Merisi, torniamo a quel tragico giorno del 1606 che segnò irrimediabilmente la sorte del Caravaggio.

Una vita messa a repentaglio da una… partita di pallacorda!

Caravaggio ha ucciso un uomo

Roma, 28 maggio dell’anno 1606.

Non è una domenica come le altre. Tutta la città è alle prese con i festeggiamenti per il primo anniversario dell’elezione al soglio pontificio di Paolo V, al secolo Camillo Borghese.

Ma qui nel cuore di Campo Marzio l’aria di festa non sembra trapelare.

In una stretta e maleodorante stradina del rione, tra palazzo Borghese e palazzo di Firenze, si schierano due gruppi composti da quattro persone: sta per andare in scena un incontro di pallacorda, una sorta di pallapugno dell’epoca molto simile a un tennis senza racchette.

Ma più che una partita amichevole sembra una sfida definitiva, una resa dei conti. Il giubilo per i festeggiamenti in onore del papa sembra non toccare minimamente i nostri contendenti.

La partita si gioca su una polveriera pronta ad esplodere. L’aria è talmente tesa che sembra preannunciare una tragedia già scritta.

Forse un fallo di gioco, forse una parola di troppo, fatto sta che la partita degenera immediatamente.

Scoppia una rissa furibonda: le due bande vengono alle mani e, come nel costume dei tempi, dal nulla saltano fuori le spade e i pugnali.

Nel marasma generale, i capitani delle due squadre non tardano a venire a contatto: Caravaggio viene ferito seriamente ma ha modo di trafiggere mortalmente Ranuccio Tomassoni, che muore dissanguato di lì a poco per i colpi violenti inferti dal pittore.

“…per certa differenza di giuoco di palla a corda, sfidaronsi, e venuti all’arme, caduto a terra Ranuccio, Michelagnolo gli tirò d’una punta, e nel pesce della coscia feritolo il diede a morte” (Giovanni Baglione).

Caravaggio ha ucciso un uomo.

Il non ritorno

In quella stradina di Roma, che ancora oggi si chiama via di Pallacorda, si compie il tragico destino di uno dei pittori più famosi di sempre.

Tra le piazzette anguste e i palazzi di Campo Marzio, dove nelle chiese puoi ancora ammirare i quadri di Caravaggio nella loro collocazione originaria, va in scena l’atto finale della vita romana del pittore lombardo.

Ranuccio Tomassoni da Terni è un personaggio celebre nel quartiere. Con il fratello si interessa di affari sordidi: pare gestire un giro di prostitute per clienti altolocati come nobili e cardinali.

Nello spazio angusto di Campo Marzio, Ranuccio e Michelangelo si erano già scontrati altre volte.

È possibile che il Caravaggio abbia contratto dei debiti di gioco con Ranuccio?

Oppure il motivo del contendere rimane una donna che esercita in strada, tale Fillide Melandroni, e che compare come modella anche in alcune opere di Michelangelo Merisi?

Fatto sta che la notizia dell’omicidio corre subito di bocca in bocca. Le autorità ratificano immediatamente la pena capitale nei confronti del pittore.

Caravaggio, con l’ausilio di una rete di influenti protettori, ha una sola possibilità per salvarsi: scappare dalla città.

Inizia così il suo girovagare senza sosta, sempre braccato, sempre coinvolto in risse e fatti violenti.

A Napoli, a Malta, in Sicilia i quadri di Caravaggio si fanno sempre più cupi, i soggetti sono sempre più terribili e angosciosi, in un susseguirsi di fughe precipitose da un luogo all’altro dell’Italia del sud e nel Mediterraneo.

L’opera che più di tutte riassume l’angoscia vissuta del Caravaggio, in questi anni concitatissimi, è l’ultima che ammireremo nel nostro percorso. Un quadro che nasconde un dettaglio macabro e geniale al tempo stesso.

E malgrado questo atto finale come pegno per il suo perdono, Caravaggio non farà mai più ritorno a Roma.

1 di 5: Bacchino Malato

Il primo dei quadri di Caravaggio che troviamo nel nostro percorso all’interno della Galleria Borghese è:

  • l’Autoritratto in veste di Bacco, più noto come Bacchino Malato.

L’opera, databile intorno agli anni 1593-1594, risale al periodo giovanile di Caravaggio. Il pittore lombardo è arrivato a Roma da qualche anno, ha poco più di venti anni e l’impatto con la città eterna non è certo dei migliori.

Anzi, le cose si mettono subito male per lui perché proprio in questo lasso di tempo troviamo l’artista ricoverato allo Spedale della Consolazione.

Squattrinato e senza fissa dimora, il Merisi è costretto a farsi assistere nell’ospedale dei poveri.

È questo l’episodio biografico a cui va ricondotto il Bacchino Malato.

La critica infatti individua nella raffigurazione del dio Bacco un autoritratto del giovane Caravaggio messo alle corde dal difficile periodo di degenza: il volto stanco, le occhiaie e lo strano colorito della pelle sono i sintomi evidenti della malattia che aveva provato duramente l’artista.

Molte sono le opere di Michelangelo Merisi in cui l’autore cederà alla tentazione dell’autoritratto.

E lo ritroveremo raffigurato ancora una volta, in sembianze più macabre, nell’ultimo dipinto del nostro percorso tra i quadri di Caravaggio all’interno della Galleria Borghese.

2 di 5: Giovane con canestro di frutta

Altro quadro riconducibile al primo periodo romano di Caravaggio è il:

  • Giovane con canestro di frutta.

Qualche tempo dopo, il Caravaggio uscito dall’ospedale va a bottega dal pittore Giuseppe Cesari – da tutti conosciuto come il Cavalier d’Arpino. Malgrado abbia solo qualche anno in più del Merisi, il Cesari guida con deciso piglio imprenditoriale uno degli atelier romani più prestigiosi del tempo.

Il Caravaggio all’interno della bottega si limita quasi esclusivamente alle rappresentazioni di nature morte: fu applicato a dipinger fiori e frutti, come ci tramanda il biografo Bellori.

Guardando con attenzione il quadro, ci accorgiamo che il vero protagonista dell’opera è il canestro di frutta dove emerge prepotente quell’indagine realistica e quello “studio dal vero” che saranno una delle cifre stilistiche principali delle opere di Michelangelo Merisi.

Alcuni dei giovanili quadri di Caravaggio, come i due che abbiamo appena ammirato, erano nella disponibilità del Cavalier d’Arpino a cui furono confiscati nel 1607 a seguito dell’accusa di possesso illegale di archibugi.

La collezione personale del Cesari fu quindi ceduta alla Camera Apostolica e poi donata dal papa Paolo V al cardinal nepote: c’è chi pensa che si trattò di un escamotage magistralmente architettato da Scipione Borghese per impossessarsi impunemente dei quadri di Caravaggio di proprietà del Cavalier d’Arpino.

3 di 5: Madonna dei Palafrenieri

Facciamo un passo avanti tra le opere di Michelangelo Merisi. Siamo tra il 1505 ed il 1506, questo è il periodo in cui viene eseguita la tela nota come:

  • Madonna dei Palafrenieri.

L’opera fu commissionata al pittore dall’Arciconfraternita dei Palafrenieri e doveva adornare il loro altare all’interno della nuova Basilica di San Pietro, iniziata quasi un secolo prima su progetto di Donato Bramante.

Ma il quadro rimase nella sua collocazione originale solo per pochi mesi: il dibattito sulla sua rimozione è ancora aperto, ma già in passato altri quadri di Caravaggio avevano suscitato clamore e sgomento sia tra i religiosi che tra gli astanti.

È possibile un nuovo intervento del cardinale Scipione Borghese che, con moneta sonante, si impossessò anche di questo quadro.

Oppure i motivi della rimozione vanno ricondotti alla posa spregiudicata della Vergine che, nell’atto di reggere il Bambino che schiaccia il serpente, mostra in maniera audace e in primo piano un seno troppo prominente.

E poi Caravaggio, ancora una volta, dipinge l’amata Lena nelle vesti della Vergine Maria, così come aveva già fatto nella Madonna dei Pellegrini nella chiesa di Sant’Agostino.

Ma Lena, come tutti sanno, fa il mestiere “più antico del mondo” e forse la cosa non sfuggì alla tagliola della censura nel rigido clima controriformista dell’epoca.

4 di 5: San Girolamo

Come nel dipinto precedente, nei quadri di Caravaggio di questi anni la tavolozza si è fatta molto più tetra e scura rispetto alle opere giovanili. A questo registro non sfugge il dipinto conosciuto semplicemente come:

  • San Girolamo.

A quel tempo il santo era un soggetto molto in voga, specie per la sua traduzione della Bibbia in latino, attività che permise una maggiore divulgazione del Cristianesimo.

E il Merisi coglie San Girolamo proprio nell’intento di scrivere su un gran librone aperto sul tavolo, in una scenografia molto scarna.

Un vistoso manto rosso avvolge il santo, la cui testa calva riverbera sotto i colpi della luce radente in un gioco di dialoghi sinistri con il diafano teschio posto su un altro libro aperto sullo stesso tavolo.

Come ci segnala sempre il Bellori, questa volta Scipione non si adoperò in nessun sotterfugio per entrare in possesso del quadro, ma commissionò direttamente l’opera al pittore lombardo.

5 di 5: David con la testa di Golia

Eccoci giunti al cospetto dell’ultimo quadro del nostro percorso, davanti a quella tela che molti considerano il testamento spirituale del Caravaggio e che nasconde il dettaglio inquietante che scopriremo tra poco:

  • David con la testa di Golia.

Un’opera che da sola riassume tutta l’angoscia vissuta del Caravaggio negli anni concitatissimi della sua fuga da Roma.

Con buona probabilità, il quadro fu eseguito personalmente per il cardinale Scipione Borghese: l’obiettivo ultimo era quello di spronare l’alto prelato ad intercedere presso lo zio-papa Paolo V affinché questi accogliesse la domanda di grazia.

Il particolare macabro del quadro è la testa del gigante Golia che altro non è che un autoritratto dello stesso Caravaggio.

Quella di Golia è una testa tagliata di netto da qualche secondo, considerando il sangue che sgorga ancora copioso dal collo tranciato: una testa espressiva e realistica, dalla cui bocca esala l’ultimo respiro e che prefigura vividamente la tragica fine dell’artista.

Sono passati alcuni anni dall’omicidio di Ranuccio: certo di una grazia da parte del Pontefice, il pittore si avvicina a Roma e dal litorale toscano è pronto a rientrare nella città eterna.

Ma Caravaggio non metterà mai più piede a Roma!

Sulla spiaggia di Porte Ercole, nel luglio del 1610, muore improvvisamente.

Il destino è beffardo perché proprio in quei giorni il papa gli aveva accordato quella grazia tanto cercata e tramite cui sarebbe potuto finalmente rientrare in città.

I quadri del Caravaggio vivranno per l’eternità, ma la sua vita impetuosa e tormentata si spegne miseramente a 39 anni non ancora compiuti:

“Ultimamente arrivato in un luogo della spiaggia misesi in letto con febbre maligna; e senza ajuto umano tra pochi giorni morì malamente, come appunto male avea vivuto”.

(Giovanni Baglione)

“L’arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità.”
Pablo Picasso

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