5 statue di Bernini nella Galleria Borghese Una passeggiata tra le sculture del principe del Barocco

Anchè la Santità di Papa Paolo V volle di mano di lui il proprio ritratto, dopo il quale ebbe a scolpire quello del Card. Scipione Borghese di lui Nipote; e già s’era condotto al fine del bel lavoro, quando portò la disgrazia, che e’ si scoprisse un pelo nel marmo, che occupava appunto tutto il più bello della fronte

Innumerevoli sono le sculture, le macchine sceniche, le architetture e in generale le opere d’arte di Bernini a Roma.

Ma c’è un posto nella città eterna dove è possibile ammirare una serie sbalorditiva di invenzioni del principe del Barocco.

Ci troviamo nel magico mondo di:

  • Galleria Borghese

e proprio qui vedremo le cinque magnifiche

  • statue di Bernini

nel nostro consueto percorso di visita “1 museo in 5 opere”.

Le statue di Bernini in Galleria Borghese

Le statue di Bernini qui presenti sono solo uno degli innumerevoli tesori della Galleria Borghese.

Molti dei capolavori conservati all’interno di questo incredibile museo sono il frutto dell’amore per l’arte di Scipione Borghese: cardinal nepote durante il regno dello zio, il papa Paolo V Borghese.

E in questa galleria troviamo nomi senza tempo della storia dell’arte: basta solo citare la stanza del Sileno con i sei quadri di Caravaggio incredibilmente allineati uno vicino all’altro in un’estasi di visione e contemplazione pittorica.

Nella visita di oggi vedremo le seguenti statue di Bernini:

  • il gruppo con Enea, Anchise e Ascanio
  • il Ratto di Proserpina
  • il David
  • l’Apollo e Dafne

La quinta (anzi la prima che vedremo) non è una statua ma un busto, ed è il ritratto malizioso dell’altro protagonista della nostra storia.

Prima di addentrarci nelle meraviglie delle statue di Bernini, non possiamo tacere dell’estro e dell’impeto del mecenate dal cui impulso nacquero questi capolavori assoluti.

Breve storia del busto scolpito in quindici notti

Roma, anno 1632.

Gian Lorenzo ha appena terminato il busto commissionato dal Cardinale Borghese.

Quando Bernini manda a chiamare Scipione per mostrargli il lavoro, il Cardinale non può nascondere l’emozione: a breve aggiungerà un altro pezzo di pregio nella sua sconfinata collezione artistica.

E questa volta si tratta di un busto in cui è ritratto lui stesso: in questo modo la sua figura di mecenate potrà essere consegnata all’eternità.

Ma quando Bernini scopre il busto, un moto di sconforto assale il Cardinale: un’orribile venatura scura solca la fronte del busto.

Scipione è imbarazzato, si contorce le mani nervosamente. Malgrado il suo potere e la sua autorità non può certo contraddire Gian Lorenzo che intanto, con la sua esemplare dialettica e ignaro di tutto, illustra con orgoglio al prelato il frutto del suo lavoro.

Il Cardinale sembra ormai rassegnato: anche il genio, l’artista per eccellenza, il principe della scena romana può fallire.

Ma proprio nel momento in cui Scipione, con la coda tra le gambe, sta per abbandonare lo studio dello scultore – Bernini, con un tocco teatrale, scopre un altro busto.

Meraviglia assoluta.

E’ lo stesso identico busto con il ritratto di Scipione ma questa volta senza alcun difetto del marmo e senza alcuna venatura. Un busto perfetto come tutte le statue di Bernini.

Questo è il racconto che Filippo Baldinucci ci tramanda, svelandoci anche il retroscena.

Mentre sta per terminare il primo busto, Bernini si accorge del difetto: quel “pelo nel marmo” proprio sulla fronte che rovina tutta la composizione.

Ma Gian Lorenzo non si perde d’animo e, come dice Baldinucci, fattosi portare un nuovo blocco di marmo in quindici notti realizza il secondo busto identico in tutto e per tutto al primo, compreso il terz’ultimo bottone della tonaca che fuoriesce dall’asola.

1 di 5: il Busto del Cardinale Scipione Borghese

Il racconto di Baldinucci sembra al limite della realtà.

Tralasciando le parti più colorite, quello che ci interessa sottolineare è la straordinaria capacità realizzativa di Gian Lorenzo: basti pensare al numero infinito di statue di Bernini che ancora oggi adornano Roma e le sue chiese.

Ritornando al nostro Cardinale e per capire senza ulteriori spiegazioni il “personaggio Scipione”, basta osservare il suo (duplice)

  • busto marmoreo.

Scipione è raffigurato in un momento specifico.

Si volta quasi improvvisamente verso la sua destra come a voler conversare con un nuovo personaggio che entra nel suo campo visivo.

Inaspettatamente, il gesto crea un sommovimento di tutta la figura: il copricapo si inclina sulla testa, il labbro si dischiude come a proferire parola, l’abito cardinalizio è piuttosto disordinato nelle numerose pieghe del marmo.

Tralasciando qualsiasi rappresentazione ufficiale, il risultato finale è quello di un uomo gioviale, istrionico, dai tratti marcati.

Se non fosse stato scolpito nel marmo, probabilmente il cardinale sarebbe stato raffigurato con due belle guance rubizze.

2 di 5: Enea, Anchise e Ascanio

Il notevole numero di statue di Bernini presenti in Galleria Borghese è dovuto al sodalizio tra lo scultore e il Cardinale.

Scipione riconosce immediatamente il talento dell’artista nato a Napoli nel 1598 e commissiona a Gian Lorenzo i primi lavori quando questi è poco più di un adolescente.

Le statue di Bernini esposte nel Museo, che vedremo nel nostro percorso, sono state realizzate in un arco temporale abbastanza breve quando il futuro principe del barocco ha tra i 20 e i 26 anni.

La prima delle statue di Bernini realizzata su commissione diretta di Scipione Borghese è il gruppo scultoreo noto come:

  • Enea, Anchise e Ascanio.

La statua risale al 1618-1620. Bernini ha appena 20 anni.

L’influenza del padre Pietro, scultore come lui, è ancora molto forte nella composizione a “torre”.

Ma l’opera sembra gettare un ponte verso una scultura decisamente barocca dove il marmo da semplice pietra sublima verso altre dimensioni della percezione.

Una nuova dimensione che esploderà nelle successive statue di Bernini che vedremo tra poco.

3 di 5: il Ratto di Proserpina

Scipione è enormemente soddisfatto dal lavoro svolto da Gian Lorenzo e non tarda ad affidargli un’altra opera.

Tra il 1621 e il 1622, Bernini realizza:

  • il Ratto di Proserpina.

Un’altra raffigurazione mitologica, come avverrà anche successivamente nelle statue di Bernini. Il mito è quello del rapimento della giovane Proserpina da parte di Plutone, il dio degli Inferi.

È passato solo un anno dal gruppo di Enea e Anchise ma Gian Lorenzo ha già abbandonato definitivamente le composizioni tardo-manieriste del padre.

Le figure dei protagonisti esplodono nello spazio.

Il possente e muscoloso Plutone avvinghia a sé Proserpina e affonda la sua mano nella coscia burrosa di lei. Proserpina cerca di divincolarsi invano mentre ai loro piedi appare il terribile Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli Inferi.

La composizione è concitata, spasmodica, al culmine dell’azione.

L’agitazione cede quasi il passo al turbamento nel momento in cui Plutone trascina Proserpina nell’Ade afferrandola e stringendo le sue carni quasi abbondanti.

4 di 5: il David

La mitologia è sostituita dai personaggi biblici nelle statue del Bernini quando tra il 1623 e il 1624 lo scultore realizza:

  • il David.

Bernini coglie il soggetto in un istante particolare, fermando per sempre nel marmo un preciso attimo temporale.

Viene riproposto in scultura quello che Annibale Carracci e Caravaggio avevano fatto in pittura già 20 anni prima.

Cogliere il momento significa lanciare l’opera in una nuova dimensione che è lo spazio visivo dello spettatore, che rimane stupito e sbigottito nel vedere incedere la statua verso la sua visuale.

Ed è proprio questa peculiarità tutta barocca a distinguere decisamente il David di Bernini da quelli del passato.

Infatti, mentre il David di Michelangelo è rappresentato in una calma quasi olimpica nell’attesa dello scontro, quello di Bernini entra nel vivo dell’azione.

Il David di Gian Lorenzo sta per scagliare la fionda contro il suo nemico il gigante Golia, il gesto provoca una decisa torsione del corpo così da poter accumulare la forza necessaria per colpire l’obiettivo.

La fronte accigliata e le labbra serrate del volto – che si dice sia un autoritratto dello scultore – sono il risultato dello sforzo sovrumano che il giovane eroe sta per compiere.

Se osservi il David frontalmente, sembra quasi che lo sguardo arcigno e la fionda siano puntati su di te ed un moto di leggera inquietudine non può non materializzarsi nell’animo di chi ammira la statua.

Un coinvolgimento che coglie sovente tutti noi al cospetto delle statue del Bernini.

5 di 5: Apollo e Dafne

Tra il 1622 e il 1625 – Bernini ritorna al soggetto mitologico, tanto caro al cardinale Borghese, con il gruppo noto come:

  • Apollo e Dafne.

Anche qui, come nelle altre statue di Bernini, lo scultore ferma l’istante, il momento, l’attimo fugace quasi come se il moto e l’azione specifica fossero immortalati per sempre su una pellicola fotografica.

La storia la conosciamo dalle pagine delle Metamorfosi di Ovidio.

I soggetti, come ben ci ha abituato Bernini, sono colti in movimento. Qui addirittura il dio Apollo rincorre a perdifiato la ninfa Dafne.

In questo moto incessante, in questa corsa contro il tempo i capelli dei personaggi fluttuano rigogliosi al vento così come i panneggi del dio.

Per imprimere maggiore azione al gruppo, Apollo ha una gamba sollevata da terra quasi come se stesse per compiere uno scatto da centometrista.

Dafne, con il seno al vento, pur di non cedere la sua verginità al dio prega di essere salvata a tutti i costi.

Proprio nel momento in cui viene afferrata, ecco che – magicamente – inizia a trasformarsi in una pianta di alloro.

Non si sa se il grido acuto che emette dalla bocca spalancata sia per la mano del dio che la sfiora oppure per il ribrezzo di vedere la sua mano destra che inizia a trasformarsi in fronde alberate.

Ma oltre la bellezza della rappresentazione estetica, un altro elemento rende straordinaria la scultura di Apollo e Dafne: Bernini e il cardinale Scipione devono in qualche modo giustificare pubblicamente il perché della rappresentazione di questo mito.

Oltre a non essere un soggetto religioso è pur sempre il ritratto di un tentativo di violenza.

Per tale motivo, su un lato del piedistallo sono impressi dei versi latini che suonano così:

“chiunque insegue il piacere di una forma fugace, resta con un pugno di foglie in mano o al massimo coglie delle bacche amare”.

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“L’arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità.”
Pablo Picasso

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