
Cerreto Sannita, ultimi giorni dell’anno 1696.
Un uomo sulla soglia della sua nuova casa, esita ad entrare. La chiave gira nella toppa e allo stesso tempo i ricordi mulinano nella sua testa. Ricordi atroci, attimi terribili. La gioia di entrare nella nuova abitazione si mischia con l’angoscia della memoria di istanti di puro panico.
Solo otto anni prima, un terremoto senza precedenti aveva spazzato via in pochi secondi tutta la vita dell’uomo. Si era portato via la sua famiglia, la sua casa, le sue cose e tutti i suoi ricordi.
Come lui, molti degli abitanti della vecchia Cerreto avevano perso affetti e masserizie nello spaventoso sisma del 5 giugno 1688.
Le fonti parlano di un numero di morti che oscilla tra le duemila e le quattromila persone. Perì circa la metà degli abitanti e la vecchia Cerreto venne di fatto rasa al suolo. Alcuni studiosi, considerando la gravità dei danni, hanno azzardato un’intensità del terremoto pari al X/XI grado della scala Mercalli. Una scossa tellurica che dalle base del Matese portò morte e distruzione in tutti i territori circostanti, facendo sentire i suoi effetti fino a Napoli e a Avellino.
Ma i cittadini della vecchia Cerreto, dopo aver sepolto i propri cari, pensarono soltanto ad una cosa: ricostruire ciò che la natura aveva demolito.
E qui si aprirono delle divergenze tra la popolazione. Tra chi voleva ricostruire la città “come era e dove era” e chi si convinse che la migliore soluzione possibile fosse quella di spostare l’abitato in un luogo meno impervio.
La querelle fu sciolta in prima persona dal feudatario di Cerreto. Marzio Carafa – duca di Maddaloni e conte di Cerreto – con l’aiuto del fratello Marino e piglio assolutista decise la ricostruzione di Cerreto a valle dell’abitato distrutto, lungo la via Telesina che conduceva a Telese e poi a Napoli.
Si è ampiamente discusso su questa decisione del duca, forse dettata più da interessi economici che da afflato paternalistico. Non dimentichiamo che Cerreto sorgeva a pochi passi dai tratturi più importanti del regno di Napoli e che la sua economia fiorente era imperniata sull’allevamento delle greggi e la lavorazione dei panni di lana.
E anche sulla paternità della progettazione dell’impianto urbano della nuova Cerreto permangono dubbi. Ancora una volta, c’è chi sostiene che furono proprio i fratelli Carafa ad ideare in prima persona il disegno urbano della nuova Cerreto affidandosi per la redazione grafica ad alcuni dei più capaci “regi ingegneri” del tempo. E tra questi, in alcune carte risalenti al secolo successivo, spunta spesso il nome dell’ingegnere Giovan Battista Manna.
Il disegno della città abbandona i canoni rinascimentali ed accoglie istanze di tipo illuministico. La città è organizzata in lotti (a corte, a schiera e a spina) con destinazioni d’uso ben definite e una gerarchia sociale chiara e scolpita nella pietra.
Malgrado il “disegno dall’alto”, i cittadini non rimasero con le mani in mano. Anzi, proprio loro si presero in carico la costruzione dei singoli lotti. Otto anni dopo il sisma, i primi abitanti della nuova Cerreto facevano il loro ingresso in alcune delle case già terminate e pronte all’uso.
E soprattutto, ricostruendo la nuova Cerreto, non si perse mai di vista la paura del terremoto. Ancora oggi il borgo di Cerreto Sannita, attualmente in provincia di Benevento, gode di strade larghe, ampie piazze, case basse (massimo 2/3 piani) e massicci muri perimetrali.
Non sappiamo se queste “accortezze” hanno preservato Cerreto dalle successive sciagure. Sappiamo solo che il disegno urbano del borgo rimane ancora oggi insuperato ma purtroppo ancora poco noto ai più.