FROSOLONE Storia di un disastro minerario e del borgo molisano da cui venivano gli eroici minatori

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Uno scorcio di Frosolone#googleimages

Monongah (West Virginia), 6 dicembre 1907.

Sono le dieci e trenta del mattino quando un boato terribile scuote le viscere della terra in questo angolo lontano degli Stati Uniti d’America.

L’esplosione, a metà strada tra un terremoto e l’apocalisse, si propaga in superficie travolgendo ogni cosa davanti sé. La quiete che si respira tra questi boschi nei monti Appalachi viene interrotta per sempre dalle urla strazianti di coloro che nel ventre della collina andarono incontro a una morte atroce nel più grande disastro minerario della storia.

Tra i minatori che portavano alla luce il carbone e l’ardesia si contarono centinaia di vittime (forse mille). E tra i migranti venuti da lontano la disperazione si mischiava al pianto delle lingue e degli idiomi degli italiani, dei polacchi, degli irlandesi, dei russi.

Già, perché gran parte dei caduti in questa guerra per lo sviluppo industriale di inizio ‘900 veniva dalle aree più arretrate della vecchia Europa. E come un film che si ripeterà più volte, gli italiani pagarono il prezzo maggiore con circa 170 morti.

E di questa babele di lingue e di angoscia sono testimonianza cruda le lapidi del cimitero allestito alla bella e meglio più di un secolo fa nel paesino di Monongah.

Su molte delle lapidi, le parole della commemorazione sono incise direttamente in italiano: “A riposo di Cosimo Meo del fu Donato e di Filomena Paolucci, morto di 20 anni nel disastro di Monongah nella miniera n. 8, nato a Frosolone di Campobasso lascia sua madre”.

Proprio da Frosolone, oggi in provincia di Isernia, partirono tanti migranti italiani che nella lontana Monongah trovarono la morte. Nella piazza del Municipio, una lapide commemorativa ricorda i 20 nativi di Frosolone caduti nel disastro minerario americano.

Oggi, il borgo di Frosolone – con il suo fascino rurale e la natura selvaggia – è un luogo che vale la pena visitare così come fanno i molti turisti e viaggiatori che ogni anno si spingono in questo angolo quasi incontaminato dell’Appennino centrale.

Il borgo si adagia sul cosiddetto altopiano del colle dell’Orso, ai piedi della falesia della Morgia Quadra: una spettacolare montagna con pareti in calcare grigio che per forma e caratteristiche è divenuta uno dei luoghi di eccellenza dell’arrampicata italiana.

All’interno del borgo, le strade selciate e le case in pietra ci parlano ancora oggi di antiche tradizioni legate al mondo rurale e artigiano come la transumanza, di cui ancora oggi sopravvive la capacità dei mastri casari e il gusto degli squisiti formaggi.

Oppure, l’arte dei “ferri taglienti”: a Frosolone è ancora viva la tradizione artigiana di produzione di coltelli e forbici, tramandata di generazione in generazione e rappresentata nel museo dedicato presente nel borgo.

A livello edilizio come spesso accade è l’architettura religiosa a farla da padrona. Degne di nota sono la chiesa di Santa Maria Assunta con facciata barocca e scalinata a doppia rampa all’ingresso, la chiesetta di San Rocco, la chiesa di San Michele Arcangelo e il convento dei Cappuccini con la chiesa di Santa Maria delle Grazie.

Infine, è impossibile non immergersi nell’atmosfera di altri tempi che si respira in largo Vittoria, abbellita dalla raffinata croce in pietra risalente alla metà del ‘600 e ingentilita dai gerani fioriti alle finestre delle case che si affacciano su questa piazza unica al mondo.

“L’arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità.”
Pablo Picasso

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