
Padova, anno 1452.
Quando una notizia positiva giunge inaspettata è capace di colmare di gioia immensa il cuore degli uomini. Quando quella notizia inaspettata interessa poi il borgo natio allora il giubilo può essere infinito.
Quel borgo lontano che ritorna ogni giorno a cullare dolcemente i pensieri di chi si è dovuto allontanare per ragioni superiori dalla sua terra. Quel borgo lontano che rimane sospeso sul cuore come una radice rimane attaccata al terreno.
Erano questi i pensieri che cullavano Roberto De Mabilia nel momento in cui gli fu annunciato che la sua amata Montepeloso era stata elevata a sede vescovile.
Il rettore della chiesa di San Daniele era arrivato anni prima dalla Lucania nella lontana Padova. Qui aveva fatto carriera e scalato le gerarchie ecclesiastiche.
Qui era a contatto con l’avanzata cultura intellettuale e artistica della città dell’epoca. E al sopraggiungere della lieta notizia, il canonico si industriò per poter omaggiare nel migliore dei modi possibili la sua Montepeloso.
Due anni dopo – siamo nel 1454 – Roberto De Mabilia si imbarca da Venezia con al seguito le reliquie del braccio di Sant’Eufemia e una serie di straordinarie opere d’arte.
Dipinti e sculture che furono da lui condotte personalmente via terra – una volta sbarcato a Bari – fino a Montepeloso, nell’alta Valle del Bradano.
Alcuni delle opere della donazione De Mabilia sono visibili ancora oggi all’interno della Concattedrale di Santa Maria Assunta di Irsina (il nome che ha assunto il borgo di Montepeloso a partire dal 1895).
In particolare, la statua in pietra di Sant’Eufemia colpisce vivamente per il realismo e la qualità scultorea. Una maestria riconducibile alla mano di uno dei più grandi artisti del Rinascimento italiano: Andrea Mantegna.
Già perché alla notizia della nomina a sede vescovile del suo borgo natio, Roberto De Mabilia pensò bene di affidarsi all’astro nascente della scena artistica padovana per poter ricompensare al meglio la sua terra natale e i suoi concittadini.
E lo fece rivolgendosi ad un giovanissimo Mantegna, all’epoca poco più che ventenne ma già sulla cresta dell’onda della fiorente scena artistica di stampo rinascimentale di Padova
Oltre alla statua di Sant’Eufemia, sono ancora nella Cattedrale una scultura della Madonna col Bambino, un Crocifisso ligneo e un fonte battesimale oltre alle reliquie del braccio della Santa.
Nella donazione c’erano anche due dipinti eseguiti sempre da Andrea Mantegna. Il primo è andato perduto mentre il secondo – raffigurante sempre Sant’Eufemia – si trova oggi esposto al Museo di Capodimonte a Napoli.
Oggi la critica ancora non è unanime nell’attribuire la statua di Irsina alla mano di Andrea Mantegna. Ma al di là delle diatribe stilistiche, colpisce il singolare corso di queste opere d’arte di chiara estrazione padovana e rinascimentale e di come sono state catapultate ad Irsina per uno strano gioco del destino.
E anche la popolazione di Irsina si cura poco di queste schermaglie tra studiosi perché ogni anno, nel mese di settembre, continua a celebrare la festa patronale di Sant’Eufemia rievocando il viaggio di questi capolavori giunti dal nord con Roberto De Mabilia nel lontano 1454.