La CAPPELLA SANSEVERO a NAPOLI Un magico scrigno d’arte tra mito e realtà

“Il principe di Sansevero, o il ‘Principe’ per antonomasia, che cosa altro è in Napoli, per il popolino delle strade che attorniano la Cappella dei Sangro, ricolma di barocche e stupefacenti opere d’arte, se non l’incarnazione napoletana del dottor Faust o del mago salernitano Pietro Barliario, che ha fatto il patto col diavolo, ed è divenuto un quasi diavolo esso stesso, per padroneggiare i più riposti segreti della natura o compiere cose che sforzano le leggi della natura?”

In questo articolo ti illustrerò le meraviglie di una piccola chiesetta nel cuore del centro storico di Napoli:

  • la cappella Sansevero e le sue stupende sculture

famosa per le eccelse statue ma anche per il mito e la leggenda nera che aleggiano intorno al committente dell’opera.

un personaggio bizzarro: il principe raimondo di sangro

In poche righe non è facile definire la personalità di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero e personaggio influente della Napoli della seconda metà del ‘700.

Nella versione ufficiale della sua vita, egli fu scienziato, uomo di lettere, militare delle alte sfere, mecenate e promotore delle arti, gran Maestro della massoneria napoletana.

Nella versione popolare invece è ricordato come amante dell’esoterismo, negromante ed alchimista.

Ma chi era veramente il Principe?

Va premesso che all’epoca il confine fra scienza ufficiale e pratiche esoteriche era molto più sottile di quel che è oggi, e passare dall’una all’altra era una consuetudine diffusa.

Certo è che il principe, nelle sue sperimentazioni pseudo-scientifiche, è stato indicato come l’inventore di alcune “stramberie” quali il mantello impermeabile, la carrozza anfibia o la lampada con luce perpetua.

Nella Napoli settecentesca, le originali sperimentazioni del nobile danno adito a racconti misteriosi che corrono, sussurrati, tra i vicoli della città: le esplosioni e i bagliori provenienti dai sotterranei del palazzo di famiglia – frutto forse dei tentativi malriusciti di Raimondo – accendono le fantasie popolari e in breve nascono macabre ipotesi sul suo conto.

Il nobile è accusato di rapire e uccidere i poveri della città per eseguire su di essi alcune stregonerie.

E’ sospettato di avere ideato e approntato un elisir di lunga vita che sembra aver sperimentato direttamente sulla sua persona.

Considera poi che il suo corpo non è mai stato ritrovato, e il gioco è fatto: Raimondo di Sangro viene consegnato per sempre al mito.

Una cappella ricca di capolavori e di… magia

L’alone di mistero che pervade la figura del principe investe anche quello che è considerato il suo testamento artistico: la cappella Sansevero.

In essa puoi trovare delle sculture sensazionali, di un realismo quasi inquietante, e delle bizzarre macchine anatomiche, che di certo convinsero definitivamente il popolo napoletano in merito alle stregonerie esercitate dal nobile.

La piccola chiesetta patronale – ufficialmente chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella – venne edificata come voto commemorativo da un antenato di Raimondo, a fine ‘500, su un lato del giardino del palazzo di famiglia: il Palazzo Sangro di Sansevero, uno dei principali palazzi cittadini, affacciato direttamente su piazza S. Domenico, tra le più importanti del centro storico di Napoli.

La fortuna artistica e popolare della cappella si deve però agli sforzi intellettuali ed economici del nostro Raimondo di Sangro e la sistemazione attuale dell’edificio sacro è quella voluta dal nobile a partire dal 1749.

Il principe finalizza lo spazio all’esaltazione della sua nobile famiglia e delle virtù dei suoi antenati: un programma iconografico ideato e pianificato in prima persona, che viene realizzato tramite una serie di sculture e monumenti funebri, posti ad adornare riccamente il sacello.

Quest’ultimo è costituito da un semplice ambiente rettangolare a navata unica, con quattro grandi archi sui lati lunghi e il presbiterio finale a chiudere la lineare composizione architettonica.

Nell’ideazione delle sculture e dell’allestimento della cappella, il principe si affidò ad un noto scultore veneto del tempo, già in là con gli anni: Antonio Corradini, il quale, prima di morire nel 1752, riuscì a definire i modelli e le bozze di tutte le sculture, che poi vennero effettivamente realizzate in seguito da altri artisti.

Le sculture principali

Le opere principali che oggi puoi ammirare nella cappella sono:

  • la Pudicizia
  • il Disinganno

e il capolavoro assoluto noto come:

  • il Cristo Velato.

 

La Pudicizia (1749-1752)

Questa scultura venne realizzata direttamente dal Corradini, che morì di lì a poco, nell’anno 1752. L’opera, posta sul lato sinistro del presbiterio, raffigura una donna ricoperta da un morbido velo, che le scende fino ai piedi partendo dalla sommità del capo.

Chi è questa donna?

In questa statua, il Principe aveva voluto rendere omaggio alla madre – donna Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona – morta ancora giovanissima.

Il Disinganno (1752-1754)

Morto il Corradini, gli subentra come capomastro un altro “straniero”, il giovane genovese Francesco Queirolo.

Questi è l’autore della scultura denominata il Disinganno, che ritrae il padre di Raimondo: una fitta rete di corde in bronzo avvolge l’uomo, che con un gesto contorto tenta di strapparsela di dosso.

Questo gesto, così tormentato, sta a simboleggiare la liberazione dal peccato. Sicuramente, il padre del principe aveva molto sofferto per la prematura scomparsa della moglie, tanto che decise di rinunciare al titolo nobiliare per abbracciare i voti religiosi.

Il Cristo Velato (1753)

Sei qui di fronte a quella che è senza dubbio la scultura più famosa dell’intera cappella e un vero e proprio capolavoro dell’arte napoletana del ‘700.

Interpretando in maniera originale uno dei modelli già realizzati dal Corradini, la statua venne eseguita dallo scultore napoletano Giuseppe Sanmartino.

Posto al centro della navata della cappella, il gruppo scultoreo ci invita a contemplare il corpo martoriato di Gesù, sdraiato senza vita su un materasso posto al di sopra di un blocco di pietra.

Hai davanti agli occhi il corpo di Gesù appena deposto dalla croce: i chiodi hanno lasciato segni vivissimi nelle mani e nei piedi, il costato è lacerato e la corona di spine poggiata ai suoi piedi, sul giaciglio funebre.

Ma c’è un particolare che ti lascia stupefatto.

È il leggerissimo velo che copre interamente il Cristo, un velo così fine e quasi impalpabile che evidenzia ogni tratto del corpo di Gesù ed esalta l’intera composizione, grazie ai giochi di luce ed ombre che riesce ad instaurare lì, al centro dell’intero ambiente.

Proprio questo elegante e drammatico virtuosismo scultoreo ha generato una delle leggende più popolari nate intorno alla figura di Raimondo di Sangro.

In molti non riuscivano a spiegarsi come fosse stato possibile scolpire nel marmo quel velo così inconsistente. Credevano che si trattasse di un velo reale.

E quale fu la voce a cui decisero di credere?

Il principe stesso aveva pietrificato il velo, versando su di esso una delle sue potentissime pozioni alchemiche.

le macchine anatomiche

Potrai comprendere meglio le leggende nere tramandate sul conto del nobile scendendo nella cripta sottostante la cappella: qui vedrai da vicino le cosiddette “macchine anatomiche”, che riproducono, con realismo impressionante, gli organi e le vene di un uomo e di una donna.

Recenti ricerche hanno stabilito che gli scheletri di supporto delle due figure sono veri, mentre l’apparato circolatorio e gli organi sono stati ricostruiti artificialmente con grande minuzia artigianale.

Immagina ora un popolano del ‘700 al cospetto di tanto crudo realismo: poteva ben credere che in realtà le due macchine anatomiche fossero delle persone in carne e ossa che Raimondo di Sangro aveva mummificato facendo loro ingerire uno dei suoi magici beveroni.

E chissà che anche tu, contemporaneo del nostro tempo, non cada nello stesso inganno teso dal Principe.

Forse Raimondo è riuscito nella sua magia: illudere l’occhio per provocare meraviglia.

“L’arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità.”
Pablo Picasso

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