“Quando il Duca intese che tutta la mia opera del Perseo si poteva mostrare come finita, un giorno la venne a vedere e mostrò per molti segni evidenti che la gli sattisfaceva grandemente; e voltosi a certi Signori, che erano con Sua Eccellenza illustrissima disse: - Con tutto che questa opera ci paia molto bella, ell’ha anche a piacere ai popolo; sì che, Benvenuto, mio, innanzi che tu gli dia la ultima sua fine io vorrei che per amor mio tu aprissi un poco questa parte dinanzi, per un mezzo giorno, alla mia Piazza, per vedere quel che ne dice ‘l popolo”
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Siamo qui alle prese con un artista geniale ma al tempo stesso uomo di pochi scrupoli e con una fedina penale non certo immacolata – ti parlerò di:
- Benvenuto Cellini
e del suo capolavoro principale:
- il Perseo con la testa di Medusa
semplicemente noto come il Perseo, una statua magnifica – fusa in bronzo – che ancora oggi puoi ammirare esposta in una piazza famosissima in una delle città d’arte più belle d’Italia.
Come tutte le opere dei grandi geni, anche questa nasconde un piccolo ma affascinante segreto lasciato dall’artista come firma eterna.
Alla fine dell’articolo ti svelerò l’arcano, ma prima iniziamo a dare uno sguardo alla turbolenta vita di Benvenuto.
DALLA FORMAZIONE DI ORAFO ALLA FUGA DA FIRENZE
Benvenuto Cellini nasce a Firenze esattamente nell’anno 1500.
All’età di 13 anni inizia la sua formazione artistica.
Va a bottega da un orafo, tal Michelangelo Brandini – padre di Baccio Bandinelli, altro importante artista manierista che, per ironia della sorte, diventerà poi uno degli acerrimi nemici del nostro Benvenuto.
Ma il temperamento di Cellini non tarda a manifestarsi in tutta la sua violenza: a soli 16 anni viene coinvolto in una rissa, insieme con il fratello, ed è costretto all’esilio a Siena.
Dopo qualche anno, siamo nel 1519, rientra a Firenze e continua il suo apprendistato presso i più importanti orafi della città.
Ma nel 1523 Benvenuto si macchia di un delitto ancora più grave: pugnala due uomini appartenenti alla famiglia dei Guasconi, degli orafi a lui ostili per mere invidie lavorative.
Per questo terribile fattaccio di sangue, il nostro artista viene condannato a morte.
DA ROMA ALLA FRANCIA... PASSANDO PER ALTRE CORTI
Inizia una fuga rocambolesca che porterà il Cellini a riparare a Roma dove metterà la sua maestria al servizio del pontefice del tempo: Clemente VII (al secolo Giulio de’ Medici).
Nel 1527, partecipa alla strenua ma vana difesa di Castel Sant’Angelo durante il terribile sacco dei Lanzichenecchi.
Dopo qualche toccata e fuga a Firenze e Mantova (dove lavora anche per i Gonzaga) nel 1534 sempre a Roma uccide Pompeo de Capitaneis, un orafo suo rivale.
Il nuovo papa Paolo III Farnese, eletto proprio nell’anno 1534, non indugia nel concedergli la grazia, pur di assicurarsi l’abilità artistica del maestro.
Ma qualche anno dopo, Benvenuto cade in disgrazia: quasi inspiegabilmente, viene accusato di aver trafugato parte del tesoro papale durante i terribili e concitati giorni del sacco di Roma del 1527.
Scontata la pena proprio nelle segrete di Castel Sant’Angelo – ironia della sorte – e dopo un tentativo di evasione mal riuscito, una volta libero decide di “emigrare all’estero”: nel 1540 lo troviamo al servizio di Francesco I, re di Francia.
Qui progetta i suoi grandi capolavori di orafo, come la famosissima Saliera di Francesco I, ed inizia l’attività di scultore che qualche anno più tardi lo porterà alla genesi del Perseo… ci siamo quasi.
IL PERSEO: UN BRONZO "TERRIBILE"
Nel 1545, Benvenuto fa finalmente ritorno nella sua amata Firenze.
Cosimo I de’ Medici – poi Granduca di Toscana – lo accoglie presso la sua corte e nello stesso anno gli commissiona quella che sarà la sua opera più celebre: il Perseo, una delle sculture più famose del ‘500 in Italia.
La genesi di questa opera non fu semplice: Benvenuto inizia la fusione della statua in bronzo nel 1545 e termina l’impresa soltanto nel 1554, ben 9 anni più tardi.
Ma dove si trova questa mirabile scultura?
La puoi osservare ancora oggi in un posto davvero pregno di storia: sotto le splendide arcate della Loggia dei Lanzi a Firenze tra Palazzo Vecchio e Piazza della Signoria.
La statua – alta più di 3 metri – rappresenta l’eroe della mitologia greca figlio di Zeus e Danae alle prese con Medusa.
Medusa aveva il potere di pietrificare con lo sguardo chiunque incrociasse i suoi occhi: era una delle tre Gorgoni, figure mitologiche con serpenti al posto dei capelli.
Per ucciderla, Perseo adotta uno stratagemma semplice ma al tempo stesso geniale: per non rimanere pietrificato, guarda la Gorgone nel riflesso del suo scudo e con la spada decapita di netto la testa del mostro.
Questo è il mito tramandato dai tempi degli antichi greci.
La statua del Cellini coglie l’eroe nell’attimo successivo alla decapitazione della Medusa. Il giovane è completamente nudo, se si fa eccezione per l’elmo ed i calzari alati che indossa ai piedi. Lo sguardo fiero è rivolto verso il basso perché lo sguardo del mostro continuava ad avere quel potere anche dopo la morte. Nella mano destra, Perseo brandisce la spada con cui ha decapitato la Gorgone mentre in quella sinistra tiene la testa della Medusa da dove fuoriescono copiosi rivoli di sangue. Il corpo – ormai acefalo della Medusa – si trova sotto l’eroe che lo calpesta con i suoi piedi.
Tutto il gruppo scultoreo è in effetti costituito da tre pezzi singolarmente fusi nel bronzo:
- il Perseo vero e proprio
- la testa della Medusa
- ed il corpo della Medusa
La statua si erge sopra un basamento marmoreo con quattro nicchie; ogni nicchia ospita degli dei della mitologia greca: Zeus e Danae, Mercurio, Minerva.
Prima di svelarti il segreto nascosto della statua, voglio farti notare un altro dettaglio magistrale: sulla cinghia che fascia il petto dell’eroe è impresso il nome dell’artista e la data di fusione dell’opera.
Una fusione – come vedremo tra poco – che fu un’operazione piuttosto complicata.
IL RETRO DELLA STATUA E L'EPOPEA DELLA FUSIONE
Eccoci arrivati al tocco singolare impresso dall’artista alla sua mirabile creazione.
Per osservare questo piccolo portento devi recarti alle spalle della statua e guardarne la parte posteriore: visti da dietro, l’elmo ed i capelli che cadono sulla nuca – meraviglia delle meraviglie – formano un volto barbuto che si dice essere niente di meno che l’autoritratto di Benvenuto Cellini.
Guardare per credere!
In qualche modo, lo scultore aveva voluto imprimere per sempre il suo volto sull’opera più eccelsa della sua produzione artistica, una statua che gli costò fatiche immani.
Nella sua autobiografia – a cui si dedicò anima e corpo a partire dal 1558 – lo stesso Cellini descrive in questo modo il drammatico momento della fusione della statua:
“E veduto che ‘l metallo non correva con quella prestezza ch’ei soleva fare, conosciuto che la causa forse era per essersi consumata la lega per virtù di quel terribil fuoco, io feci pigliare tutti i miei piatti e scodelle e tondi di stagno, i quali erano in circa a dugento, e a uno a uno io gli mettevo dinanzi ai miei canali, e parte ne feci gittare dentro nella fornace; di modo che, veduto ogniuno che ‘l mio bronzo s’era benissimo fatto liquido, e che la mia forma si empieva, tutti animosamente e lieti mi aiutavano e ubbidivano”.