La Cappella degli Scrovegni di Giotto Il pittore e il mito

Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura

Con questo articolo ci addentriamo nei meandri della:

  • Cappella degli Scrovegni

capolavoro assoluto di Giotto e da poco posto sotto tutela dall’Unesco.  

All’interno del sito UNESCO denominato “Padova Urbs Picta” ricadono anche altri edifici della città veneta. Il filo comune che li lega è quello di essere affrescati con pregevoli cicli pittorici risalenti al Trecento. In questo articolo ci concentreremo in particolare sulla Cappella degli Scrovegni, lasciando alla relativa scheda l’approfondimento sul nuovo sito Unesco di Padova.

La Cappella degli Scrovegni e il suo eccezionale ciclo di affreschi sono inscindibili dal suo maggiore artefice. Quel Giotto di Bondone che tra la fine del Duecento e i primi decenni del Trecento splende come un astro luminosissimo sulla scena artistica della penisola italiana.

Quel Giotto di Bondone il cui estro creativo fu ammirato in lungo e in largo e la cui insuperabile maestria si tramutò ben presto in leggenda. Una leggenda che parte da lontano, quando il pittore ha solo pochi anni di vita ma fa già parlare di sé facendo rimanere tutti a bocca aperta.

La leggenda dell’artista

Valle del Mugello, qualche anno dopo il 1267.

Mentre le pecore affidategli dal padre pascolano beatamente nella valle, il giovane pastorello si gode la calma e la tranquillità di quel paesaggio incantevole. Uno scenario verdeggiante e fecondo dove uomo e natura vivono a stretto contatto e in totale armonia. Olivi, viti, campi di grano e pascoli si intrecciano tra loro, interrotti di tanto in tanto dai villaggi e da qualche cascina isolata nei campi.

Il pastorello sorveglia svogliato il suo gregge. Un po’ sonnecchia sdraiato sull’erba, lancia qualche pietra lontano, fischietta allegramente saltando un fosso e giocherella con i cani che sorvegliano le pecore. Di tanto in tanto il ragazzo si diverte a tracciare dei segni o su una roccia particolarmente liscia o direttamente sulla terra. I suoi disegni ripetono in maniera straordinariamente naturale il paesaggio, gli animali e le cose che osserva quotidianamente nel suo girovagare nella valle.

Un giorno il pastorello, armato di un sasso leggermente appuntito, era intento a disegnare su una pietra una delle sue amate pecorelle. Con gli occhi leggermente socchiusi e la mano ferma, eseguiva l’immagine senza indugio. Proprio mentre il giovanetto stava terminando la sua “opera d’arte”, un uomo si trovò a passare di lì in maniera del tutto casuale. L’uomo si fermò incredulo al cospetto del piccolo artista-pastore: il “ritratto” della pecora era così ben fatto da somigliare in maniera straordinaria al soggetto reale.

Il giovane pastorello era proprio il nostro Giotto mentre il forestiero incantato da cotanta maestria era Cimabue, il grande pittore fiorentino. Cimabue, destatosi dall’incredulità, non si fece scappare l’occasione e prese il piccolo Giotto sotto la sua ala protettiva conducendolo nella sua bottega in città. Qui a Firenze, Giotto apprese tutte le tecniche pittoriche diventando talmente bravo e sagace da superare in breve tempo il suo stesso maestro.

L’allievo e il maestro

La storia del pastorello-artista e del suo maestro talent scout viene riportata nelle celeberrime “Vite” del Vasari: “E così avvenne che un giorno Cimabue, pittore celebratissimo, trasferendosi per alcune sue occorrenza da Fiorenza, dove egli era in gran pregio, trovò nella villa di Vespignano Giotto, il quale, in mentre che le sue pecore pascevano, aveva tolto una lastra piana e pulita e, con un sasso un poco apuntato, ritraeva una pecora di naturale, senza esserli insegnato modo nessuno altro che dallo estinto della natura. Per il che fermatosi Cimabue, e grandissimamente maravigliatosi, lo domandò se volesse star seco”.

Nel racconto del Vasari – un falso storico accertato senza ombra di dubbio – vengono a galla tutti gli elementi del mito. Il giovane pastorello dotato di un talento innato e a tratti sovrannaturale. L’incontro totalmente fortuito con Cimabue, pittore di fama, che gli spiana la strada per una carriera fulgida con tanto di scalata sociale. L’allievo che, imparando i trucchi del mestiere, supera in bravura il suo vecchio maestro lanciando l’arte e la pittura in una dimensione totalmente nuova.

Sono molti gli elementi storiografici che, da subito, hanno trasformato Giotto in una vera leggenda vivente. Sicuramente le sue opere – come la Cappella degli Scrovegni di Padova che ammireremo tra poco – assicurarono a Giotto un posto nell’Olimpo dell’arte. La fama conquistata da Giotto con il suo pennello, portarono i suoi contemporanei ad ampliarne fuori misura le sue gesta pittoriche. Fino ad arrivare al mito del povero pastorello che grazie al suo genio innato diventa uno dei più grandi artisti di tutti i tempi.

Lo stesso Dante – contemporaneo e concittadino del pittore – sancisce nei primi anni del Trecento il “sorpasso artistico” tra Giotto e Cimabue. Basta leggere i versi del canto XI del Purgatorio della Divina Commedia riportati nell’incipit del nostro articolo.

La Cappella degli Scrovegni

Ma la vera grandezza di Giotto va ricercata e ammirata nelle sue reali creazioni artistiche. Come dimostra in maniera tangibile la superba Cappella degli Scrovegni di Padova.

La costruzione della Cappella degli Scrovegni è da datarsi ai primissimi anni del 1300. La sua edificazione fu sovvenzionata da Enrico Scrovegni, a quel tempo tra gli uomini più ricchi e potenti di Padova. Enrico acquistò alcune proprietà immobiliari nella cosiddetta area dell’Arena di Padova, zona così chiamata perché qui sorgeva l’antico anfiteatro romano della città. In questo luogo, l’esponente della famiglia Scrovegni fece costruire il palazzo di famiglia (oggi non più esistente) e la chiesetta privata poi universalmente nota come Cappella degli Scrovegni.

Secondo la tradizione, Enrico fece costruire il tempietto sacro per espiare i peccati suoi e soprattutto del padre Reginaldo. Qualche decennio prima, l’uomo aveva scalato le gerarchie sociali tramite il prestito ad usura. E Dante non aveva tardato a inserire Reginaldo nel girone degli usurai, nel Canto XVII dell’Inferno.

A livello architettonico la Cappella degli Scrovegni si distingue per una struttura semplice e lineare. La facciata è del tipo a capanna (con il tetto a spioventi) e nel prospetto principale si aprono unicamente il portale d’ingresso e la sovrastante trifora (finestra a tre aperture). La facciata laterale di sinistra non presenta nessuna finestratura. Mentre quella di destra è scandita da sei monofore (finestre con unica apertura) che insieme alla trifora centrale assicurano la giusta luminosità. All’interno la Cappella degli Scrovegni presenta una sola navata coperta con una volta a botte.

Uno strabiliante ciclo di affreschi

Se a livello architettonico la Cappella degli Scrovegni è l’emblema della semplicità strutturale, l’interno della chiesa è una mirabolante esplosione di affreschi e di colori.

Queste sono le date ormai canoniche per la tradizione. I lavori di edificazione della Cappella degli Scrovegni iniziano nel 1302. Nel 1303 Giotto – coadiuvato da allievi e maestranze – inizia a mettere in opera lo straordinario ciclo di affreschi che decora internamente la chiesetta. Il 25 marzo dell’anno 1305 – il giorno in cui la chiesa cattolica celebra l’Annunciazione del Signore – il tempietto viene consacrato ufficialmente. Non dimentichiamo che la Cappella degli Scrovegni è dedicata alla Vergine Maria.

Il ciclo di affreschi giottesco è strutturato in tal modo:

  • sulla volte a botte è raffigurato un cielo stellato intramezzato da medaglioni con Gesù, Maria e i Profeti;
  • le pareti laterali sono suddivise ciascuna in tre fasce orizzontali sovrapposte con storie tratte dalla vita di Anna e Gioacchino, Maria e Gesù;
  • la parte più bassa delle pareti è trattata a “monocromo” con l’inserimento delle figure allegoriche dei Vizi e delle Virtù che si intervallano con la decorazione dipinta;
  • sull’arco trionfale (l’elemento architettonico che suddivide la navata dalla retrostante parte absidale) viene raffigurata, tra le altre scene, anche l’Annunciazione con Maria e l’angelo;
  • infine, sulla controfacciata appare l’imperioso e sensazionale “Giudizio Universale”.

Scene per una storia dell’arte

Ogni singolo riquadro del ciclo affrescato da Giotto nella Cappella degli Scrovegni può essere considerato un’opera d’arte a sé stante. Ma ci sono alcune scene che sono diventate delle vere e proprie icone della storia dell’arte. Scene che arrivano a travalicare i confini stessi della disciplina per entrare di diritto nell’immaginario collettivo di tutti noi.

Sulla parte di destra, la prima fascia in alto raffigura episodi tratti dalla vita di Anna e Gioacchino, i genitori di Maria. L’ultimo riquadro, quello più vicino alla controfacciata per intenderci, è noto come “L’incontro alla porta aurea”. In questa scena, Anna va incontro a Gioacchino presso la porta della città per accogliere il coniuge. Anna e Gioacchino si guardano intensamente negli occhi. La mano di lui si allunga sulla spalla della moglie mentre le mani di Anna sfiorano il volto e la barba del marito. Incuranti degli astanti, i due si scambiano un bacio dolce e delicato con tutta la naturalezza del mondo.

Passiamo ora ad un altro bacio, ma qui dolcezza e sentimenti sono messi al bando. Il “Bacio di Giuda” occupa la parte centrale della terza fascia della parete di destra. È notte, una moltitudine di uomini brandisce mazze, bastoni e fiaccole. Un tumulto generale pervade la scena da destra a sinistra. Al centro, immobili in mezzo a tanto clamore, Gesù e Giuda di profilo si guardano anche loro negli occhi. Giuda prova a stringere il Signore inscenando un bacio meschino e ruffiano. Gesù guarda dritto negli occhi il discepolo che l’ha tradito. Il suo sguardo imperioso e severo sembra trafiggerlo, va oltre Giuda e forse si fissa nel destino di morte e salvezza che lo attende.

La rivoluzione dei sentimenti di Giotto

Forse la scena più famosa della Cappella degli Scrovegni è il “Compianto sul Cristo morto”. Questa occupa il terzo riquadro partendo dalla controfacciata della terza fascia della parete di sinistra. Un paesaggio roccioso, brullo e desolato incornicia il momento più tragico della morte di Gesù.

È una scena di massima disperazione quella che si svolge intorno al corpo esamine del Signore. Maria afflitta tiene la testa del figlio, Giovanni allarga le braccia sconsolato e si sporge in avanti: sembra quasi di sentire il suo strazio. La Maddalena, seduta a terra sulla destra, tiene in mano i piedi del Cristo segnati dai chiodi.

A mezz’altezza, alle spalle del Compianto una pletora di angeli piange, si dispera, congiunge le mani o spalanca le braccia in un moto perpetuo di tristezza e angoscia.

Questa è la vera e grande rivoluzione di Giotto. Dopo secoli di immobilismo e fissità, la scena pittorica si anima con tutto lo specchio dei sentimenti umani: riso, gioia, felicità, disperazione, angoscia e pianto. Sentimenti che fuoriescono dagli affreschi mediante l’espressività combinata dei volti e dei corpi disegnati. Un’espressività che rende umani i dipinti senza tempo di Giotto e che rende immortale la Cappella degli Scrovegni.

“L’arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità.”
Pablo Picasso

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