È un viaggio tra i siti archeologici d’Italia quello proposto da Michele Stefanile – archeologo subacqueo – nel libro “Andare per le città sepolte”.
Ma addentrandoci tra le sue pagine scopriamo che questo viaggio si compie anche nel tempo e nella memoria degli uomini che ancora oggi vivono in contatto (non sempre positivo) con queste città del passato.
Salvo scoprire che questa città sepolte sono sepolte solo di nome perché hanno ancora molto da dire e pulsano di vita propria sotto il manto dell’abbandono e della storia.
“Andare per le città sepolte significa esplorare l’Italia attraverso l’unicità dei suoi insediamenti urbani riemersi dal tempo e dall’oblio, scoprendo le tante Pompei che si incontrano dalle Alpi alla Sicilia”.

4 itinerari per le città sepolte
Il libro “Andare per le città sepolte” media continuamente tra l’aspetto mitico/poetico e quello didattico/divulgativo trovando un equilibrio non comune nella descrizione dei siti archeologici che punteggiano l’Italia intera.
“Le città sepolte si trovano allora ordinate in gruppi: da una parte quelle morte violentemente, travolte dalla lava, dai flussi piroclastici, dalla Natura; poi quelle distrutte in guerra, sepolte dalle armi; infine quelle sepolte dalla crisi, tagliate fuori da una via commerciale, private del porto, impoverite, e quelle sepolte dal tempo, spentesi lentamente nella generale decadenza del mondo antico”.
Nel primo gruppo – tra le città sepolte dalla Natura (quella con la N maiuscola) – troviamo: Pompei, Ercolano, Baia, Alba Fucens, Carsulae e Poseidonia-Paestum.
Nel secondo gruppo – tra le città sepolte dalle Armi – ci sono: Norba, Sibari, Libarna, Aquileia, Mozia e Tharros.
Nel terzo itinerario, affrontiamo le città sepolte dalla Crisi: Minturnae, Luni, Cosa, Solunto, Eraclea Minoa e Ostia.
Infine, nel quarto e ultimo tragitto possiamo ammirare le città sepolte dal Tempo: Tindari, Nora, Elea-Velia, Locri Epizefiri, Egnazia e Sepino.
Natura implacabile: non solo Pompei
“Andare per le città sepolte” non poteva non iniziare da Pompei, senza se e senza ma la città sepolta per antonomasia.
Ma spostandoci di qualche chilometro nel sito archeologico di Ercolano – protetta dall’UNESCO nell’ambito del sito “Aree Archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata” – si palesa ancora oggi agli occhi dei visitatori la furia distruttiva della natura.
Qui non sono state le colate laviche ma le nubi ardenti del Vesuvio a “congelare” per sempre uomini, animali e l’intera città nell’attimo supremo della catastrofe naturale. Un attimo che durerà per sempre, per l’eternità.
Una città che per lunghi tratti è ancora sepolta sotto depositi vulcanici che raggiungono in alcune zone uno spessore di oltre 30 metri. I reperti visibili oggi sono solo una piccola parte di un tesoro nascosto nelle viscere della terra dalla potenza catastrofica del vulcano.
Sempre in Campania – una regione che per storia e conformazione territoriale è una vera fucina di città sepolte – si trova un’altra gemma dell’archeologia mondiale: stiamo parlando della città di Baia, l’Atlantide d’Italia.
Siamo nei Campi Flegrei, a pochi passi dal mare – in un luogo dove si intrecciano il mito e l’otium dei Romani. I nostri antichi progenitori avevano eletto questo placido golfo meta prediletta di riposo dal caos della città, dalla politica e dalle guerre.
E per quei fenomeni naturali tipici di questo territorio l’antica Baia pian piano iniziò ad essere sommersa dalle acque. Oggi Baia si trova nel fondale marino, popolata dai pesci e protetta dal Parco archeologico sommerso di Baia – un unicum straordinario nel panorama archeologico italiano.
Il clamore delle armi: città passate a ferro e fuoco
Il libro “Andare per le città sepolte” continua con le città che furono annientate dalla furia degli uomini tra guerre, saccheggi e distruzioni pianificate e sistematiche.
Aquileia è una di queste. Aquileia con i barbari nella storia e nel destino.
Fondata come colonia romana nel 181 a.C. proprio con lo scopo di difendere le lande del nord Italia dalle orde barbariche. Nata come presidio militare, Aquileia sviluppa in seguito una forte vocazione commerciale.
Supererà indenne parecchi secoli, fino a quando Attila alla guida dei terribili Unni si abbatterà come una tempesta sulla città. È il 452 d.C. quando Attila saccheggia e devasta la città, mettendo fine ad una parabola gloriosa e spargendo (come dice qualcuno) addirittura il sale sulle sue rovine.
Con gli itinerari di “Andare per le città sepolte” dal Friuli ci spostiamo in Sicilia, dove al centro del cosiddetto Stagnone di Marsala sorge l’insediamento fenicio (e poi cartaginese) di Mozia.
Gli abitanti dalle sponde del lago raggiungevano la città tramite una strada posta su un terrapieno lungo all’incirca 2 chilometri, abbastanza largo da permettere il passaggio di due carri affiancati.
Quando Dioniso, il tiranno di Siracusa, decise di cacciare i cartaginesi dalla Sicilia attaccò proprio Mozia – considerando la città il centro dell’influenza cartaginese sull’isola.
“E la strada, su cui per secoli era passata la popolazione dei moziesi, lentamente scomparve al di sotto dell’acqua salmastra dello Stagnone”.
Città sepolte dalla crisi…
È la crisi! Spesso si invocano ragioni economiche per delineare l’andazzo non positivo dei vari periodi storici.
E il declino economico di una città dipende da fatti reali che hanno un impatto devastante sulla vita urbana e cittadina, portando all’abbandono della città stessa su tempi lunghi.
Pensiamo alla colonia romana di Minturno – tra Lazio e Campania – la cui ricchezza dipendeva dal suo porto e dai commerci che vi ruotavano. Terminati i commerci e insabbiato il porto, è finita anche la città – ancora oggi testimonianza incredibile della pianificazione urbana romana imperniata su un tratto dell’antica via Appia.
Stessi problemi si riscontrano a Luni e a Ostia antica: città che gravitavano intorno ai traffici dei loro porti e che hanno seguito un declino irreversibile con il declinare del loro porto.
Ma la crisi non è solo economica, può essere anche “ecologica”. È quello che succede sulle coste palermitane a Solunto, una colonia greca con passato fenicio emblema dell’urbanistica ippodamea.
Con buona probabilità, fu abbandonata dai suoi abitanti per carenza idrica. L’acqua piovana accumulata nelle cisterne utilizzate allo scopo non era sufficiente ad uno sviluppo ulteriore dell’insediamento urbano. E così la città si spense lentamente con l’abbandono progressivo da parte dei suoi abitanti.
…e dallo scorrere inesorabile del tempo
Oltre la natura, le armi e la crisi – è semplicemente il tempo a fare il suo corso trasformando un agglomerato ricco di vita in una città sepolta.
Forse l’esempio più bello contenuto nel libro “Andare per le città sepolte” è l’ultimo che incontriamo: il borgo molisano di Sepino.
Città romana nata vicino ad un precedente agglomerato sannita con una storia che oltrepassa il medioevo e si spinge fino ai giorni nostri, quando le abitazioni rurali si innestano sul perimetro della cavea dell’antico teatro romano.
Ere lunghissime scorrono su queste pietre dove sembra di scorgere la patina della storia ed echi provenienti da mondi lontani e vicini allo stesso tempo.
Pietre che sanno ancora parlarci alla perfezione solo se abbiamo la pazienza e la ricchezza spirituale di ascoltarle.
“E così, allora, nella poco nota Sepino, nel cuore incontaminato dell’Appennino, seduti all’ombra di un noce, si può giocare qualche secondo a socchiudere gli occhi, e per una volta fingere che ciò che in qualche caso si dice dei tanti parchi archeologici d’Italia sia vero: il passato è ieri, e gli antichi non sono morti da secoli. Si sono solo allontanati un momento”.