Verso sera ci recammo al Colosseo; era già quasi buio. Quando si contempla una cosa simile, tutto il resto appare un'inezia. E’ così grande che la mente non riesce a comprenderlo in sé; piccola è l'immagine che la memoria ne serba e, quando si torna a vederlo, fa l'effetto d'esser più grande di prima
Goethe Tweet
In questo articolo ti illustrerò alcune delle meraviglie di quello che è considerato uno dei monumenti più famosi del mondo:
- Il Colosseo
ma vorrei farlo da un punto di vista totalmente diverso.
Voglio parlarti degli usi impropri di cui è stato oggetto nel corso della sua spericolata vita bimillenaria.
Ma prima un po’ di storia…
La nascita del mito
Malgrado la damnatio memorie successiva alla sua morte, la storia del Colosseo deve necessariamente fare i conti con la famigerata figura dell’imperatore Nerone.
Quando morì nel 68 d.C., Nerone lasciava ai posteri la sua fastosa e sconfinata residenza imperiale: la Domus Aurea si estendeva lungo i declivi del Monte Oppio occupando circa 120 ettari di territorio, una dimensione impensabile se si pensa che nell’area della villa potevano entrare 110 campi da calcio moderni.
La megalomania di Nerone non si fermava certo alla dimora vera e propria. Proprio nel sito in cui oggi ammiriamo il Colosseo, l’imperatore aveva ricavato un lago privato dove poter godere dell’amenità delle acque e svagarsi dalle fatiche della carica imperiale.
Alla sua morte, l’impero romano piombò nel caos: il periodo tra il 68 e il 69 d.C. è infatti conosciuto come l’anno dei 4 imperatori. Dopo una cruenta guerra civile, la situazione fu risolta negli ultimi mesi dell’anno 69 d.C. con l’elezione ad imperatore di Vespasiano – il primo regnante della dinastia dei Flavi.
Vespasiano, con un preciso intento politico volto ad oscurare la figura di Nerone, decise di prosciugare il lago e di fondare in questo luogo il monumento allo svago del popolo del romano, donando alla cittadinanza e all’uso pubblico un’area che fino a quel momento era stata monopolizzata ad uso privato dalle manie di grandezza di Nerone.
Purtroppo Vespasiano non fece in tempo ad inaugurare il grandioso anfiteatro: egli morì nel 79 d.C., mentre l’anno dopo, nell’80 d.C., il figlio Tito presidiò alla cerimonia di apertura con una serie di giochi gladiatorii, combattimenti e massacri di belve feroci che si dice si protrassero per circa 100 giorni.
Non solo Vespasiano non riuscì ad inaugurare la sua enorme creatura di marmo e travertino, ma fallì anche nell’intento di occultare la figura di Nerone.
Ti spiego il perché di questa affermazione nelle prossime righe.
Dal Colosso al Colosseo
Dal medioevo in poi, l’anfiteatro è conosciuto con il nome con cui comunemente lo chiamiamo ancora oggi: Colosseo.
Tale nome non deriva solo ed esclusivamente dalle sue dimensioni gigantesche, bensì dalla statua di Nerone – il Colosso appunto – che sorgeva in prossimità della Domus Aurea e del luogo in cui fu poi costruito il monumento dei gladiatori.
Alcune fonti testimoniano che questa colossale statua di Nerone occupava ancora il suo posto nel IV secolo d.C., posta su un enorme basamento accanto all’anfiteatro.
Paradossalmente la storia si è rivoltata contro il nobile intento di Vespasiano: ancora oggi si tende ad indentificare il monumento come opera di Nerone anche se il malvagio imperatore morì ben 12 anni prima della sua inaugurazione.
E questa idea ci è stata tramandata anche dal cinema: solo per citare uno dei casi più emblematici, si pensi al famosissimo film Quo Vadis? dove la persecuzione dei cristiani da parte di Nerone viene ambientata proprio nel Colosseo parecchi anni prima della sua effettiva costruzione.
Uso improprio di Colosseo
Più che narrarti della mitica storia delle sue meraviglie architettoniche oppure dell’uso per cui fu costruito, i combattimenti tra gladiatori, in questo articolo voglio proporti una contro-storia del Colosseo raccontandoti degli strani utilizzi dell’anfiteatro nel corso dei secoli.
Ti racconterò come i suoi marmi preziosi siano stati utilizzati in altri monumenti celebri della città di Roma, delle strane funzioni che la sua arena ha ospitato nel tempo e alla fine di quella che è una vera e propria sorpresa di cui oggi si è persa ogni traccia.
Primo uso improprio: cava di pietra
Dal medioevo fino al rinascimento e al barocco, il Colosseo è stato utilizzato come una vera e propria cava di pietra, una miniera a cielo aperto da cui trafugare quantità spropositate di marmo e travertino o semplicemente pietre da ridurre in calcina.
Dopo i secoli incerti dell’alto medioevo, l’attività edilizia della città eterna riprese a mano a mano a crescere con forza. Dove si poteva trovare ottimo materiale da costruzione, senza cavarlo direttamente dalle montagne e trasportarlo con enormi sforzi da luoghi lontani?
Ma naturalmente nella cava cittadina del Colosseo.
Questa pratica divenne così diffusa, e legale persino, che in documenti dello stato pontificio di età barocca compare ripetutamente la dicitura “a cavar marmi a coliseo”.
Quello che per noi contemporanei è un vero e proprio saccheggio della memoria storica e una profanazione dell’arte e dell’architettura della civiltà romana, in realtà all’epoca era considerata una prassi del tutto ordinaria. Ed è strano pensare come la memoria della città si sia conservata nel corso dei secoli tramite i nuovi edifici che in qualche modo riutilizzavano e fagocitavano gli antichi marmi: le pietre dell’anfiteatro Flavio si ritrovano oggi in moltissime chiese e palazzi romani di epoca rinascimentale e barocca, basilica di San Pietro compresa.
Basti pensare che il famoso Palazzo Barberini fu edificato con parte del travertino del Colosseo crollato al suolo: il benestare al riuso di questo materiale era stato dato direttamente dal papa dell’epoca, Urbano VIII, che era – guarda caso – anche l’esponente di spicco della stessa famiglia Barberini.
Il popolo romano, come consueto, non si fece sfuggire l’occasione di sbeffeggiare il potere, e a seguito della ennesima spoliazione, questa volta del Pantheon, da parte dello stesso Urbano VIII, coniò per il pontefice e la sua amata famiglia una pungente pasquinata: a Roma, “Quod non fecerunt Barbari, Barbarini fecerunt”.
Secondo uso improprio: palazzo medievale
In epoca medievale (siamo dopo l’anno mille), le potenti famiglie romane che all’epoca dominavano la città stabiliscono la loro residenza – anche se è più corretto parlare di fortezza – in alcuni dei monumenti romani più importanti e meglio conservati.
A questo destino non sfugge nemmeno il Colosseo che alla metà del XII secolo viene preso in parte dalla famiglia Frangipane, che vi insedia il proprio quartier generale.
Il cosiddetto Palazzo Frangipane venne ricavato sul lato orientale dell’anfiteatro, occupando tredici arcate su due livelli.
Un secolo dopo, la famiglia dei Frangipane fu scacciata dalla residenza ricavata nel monumento e al suo posto si insediarono i membri della famiglia rivale degli Annibaldi. Questi, a loro volta, sul finire del 1300 vendettero la dimora ad una confraternita cristiana.
E’ interessante notare come l’azione compiuta dai Frangipane, cosa piuttosto comune in epoca medievale, può ancora oggi essere osservata tra le strutture di epoca romana: mi riferisco agli appartamenti privati che puoi vedere al di sopra del Teatro di Marcello – un tempo di proprietà della nobile famiglia degli Orsini e che nel 2012 furono messi in vendita per la cifra di 32 milioni di euro.
Terzo uso improprio (non riuscito): lanificio
Siamo sul finire del 1500. Esattamente nell’anno 1585 viene eletto al soglio pontificio Sisto V. Il nuovo papa regna solo cinque anni ma in questo breve lasso di tempo, con le sue idee, rivoluziona l’assetto urbanistico ed architettonico della città eterna.
Tra le idee utopiche di Sisto V c’era anche quella impiantare nel Colosseo un… lanificio.
L’architetto di fiducia del papa, Domenico Fontana, progetta nei dettagli l’impianto industriale disponendo il lanificio vero e proprio al piano terra e gli alloggi degli operai nei livelli superiori.
Morto il papa nel 1590, il progetto fu abbandonato anche per i notevoli costi di realizzazione e in questo modo il Colosseo non diventò mai una fabbrica.
Come sarebbe stato oggi l’anfiteatro se alla fine del ‘500 fosse stato trasformato in un lanificio?
E’ una domanda che difficilmente può trovare risposta.
Ma forse non sarebbe stata una sorte così nefasta come si potrebbe immaginare.
Basti pensare che qualche tempo dopo parte dell’edificio fu utilizzata, in maniera non propriamente nobile, come deposito di letame per la produzione di salnitro: un uso molto meno decoroso se comparato al lanificio e che sicuramente ha arrecato danni maggiori alle monumentali strutture romane.
Un aspetto perduto
Il Colosseo è stato molte cose nel corso dei secoli: quelle che ti ho raccontato sono solo una minima parte degli strani utilizzi perpetrati ai danni dell’anfiteatro nella sua lunghissima storia.
Ma c’è un aspetto sorprendente di cui voglio ancora parlarti, un aspetto ormai del tutto perduto ma che qualche secolo fa doveva far apparire il Colosseo come qualcosa di mitico: un vero e proprio giardino dell’Arcadia.
Il Colosseo era letteralmente ricoperto da alberi verdi e rigogliosi, da piante di mille specie diverse e da fiori colorati e profumatissimi.
Con uno spirito romantico, devi immaginare le rovine come un giardino incantato che colpivano l’immaginazione dei viaggiatori del Grand Tour che arrivavano dai paesi nordici ad ammirare questo spettacolo.
Il monumento, prima dell’intervento sistematico degli archeologi a partire dal 1870, era il regno dei botanici: numerosi sono i cataloghi oggi ancora conservati dove si illustra nel dettaglio la flora del Colosseo.
Uno tra i più famosi è il catalogo pubblicato nel 1855 dal medico inglese Richard Deakin ed intitolato appunto Flora of the Colosseum. In questa opera vengono catalogate ben 420 specie botaniche diverse e le stesse sono oggetto di mirabili illustrazioni.
A scanso di equivoci, va precisato che se il Colosseo non fosse stato ripulito dagli alberi e dai fiori forse oggi sarebbe quasi completamente crollato.
Ma la dimensione romantica di quella visione arcadica era troppo forte per il Deakin, il quale arrivò ad affermare senza mezzi termini che:
“Evitare un’ulteriore perdita di parti architettoniche è più che desiderabile; ma eseguire i restauri, i lavori di spennellatura e di pulizia di cui è stato oggetto il Colosseo su scala così estesa, invece di lasciarlo nella sua grandezza selvaggia e solenne, equivale a distruggere l’effetto e l’esperienza unica che una rovina così magnifica tende a produrre sulle menti”.