Andrea del Verrocchio: il maestro dei maestri Breve storia del monumento equestre a Bartolomeo Colleoni

Laonde non debbe certo parere strano se Andrea del Verrocchio che, aiutato più dallo studio che dalla natura, pervenne tra gli scultori a ‘l sommo de’ gradi et intese l’arte perfettamente, fu tenuto duro e crudetto nella maniera de’ suoi lavori, e sempre tali sono apparite le cose sue, ancora che sieno mirabili nel cospetto di chi le conosce.

In questo articolo parleremo del “maestro dei maestri”:

  • Andrea del Verrocchio

che nella seconda metà del ‘400, a Firenze, guidava con somma abilità una delle botteghe più floride e famose della città. Una sorta di atelier del Rinascimento, dove svolsero la loro prima formazione o collaborarono artisti immensi come Sandro Botticelli, il Ghirlandaio e il Perugino.

Tra i tanti nomi illustri dell’arte rinascimentale passati “a bottega” dal Verrocchio, è impossibile non citare il più famoso di tutti:

  • Leonardo da Vinci

che, prima della sua partenza per Milano nel 1482 e insieme a Lorenzo di Credi, fu il più stretto collaboratore del maestro.

Tra poco scopriremo insieme uno dei monumenti più celebri del Verrocchio, ideato dal grande artista e scultore fiorentino negli ultimi anni della sua vita, ma prima è d’obbligo spendere qualche parola sul protagonista di questo monumento, uno tra i più celebri signori della guerra del XV secolo.

Il Colleoni, la Serenissima, l’eredità contesa e la statua equestre

Anno 1475.

Siamo nel Castello di Malpaga, a pochi chilometri da Bergamo.

È un momento di grande tristezza quello che si sta consumando tra le mura dello splendido maniero rinascimentale, immerso nella pianura padana. Le figlie del valoroso guerriero, padrone del feudo di Malpaga e di altri territori sparsi al confine dello stato veneziano, si stringono addolorate intorno al padre.

Circondato dall’affetto dei suoi cari e consapevole di aver ottenuto in vita una fama e una ricchezza inusitata per un semplice “signore della guerra”, muore così

  • Bartolomeo Colleoni

annoverato tra i più valorosi e scaltri condottieri dell’intera storia del Rinascimento italiano.

Le gesta del Colleoni si legano a doppio filo con la storia di Venezia, una città che sa dare tanto e sa come ricompensare al meglio i suoi protetti.

E il Colleoni, per i servigi militari resi alla città lagunare per un tempo eccezionalmente lungo, ha avuto tantissimo da Venezia: feudi, territori, denari e l’ambito bastone del comando come Capitano dell’esercito della Serenissima.

Ma Venezia sa essere anche implacabile e riprendersi tutto quello che ha dato. La presenza inquietante dei delegati dello stato veneziano al capezzale del condottiero non è un dettaglio da poco: sembrano quasi pronti a mettere le mani sui possedimenti del Colleoni, appena il bergamasco passerà a miglior vita.

È questa la preoccupazione che assale l’anziano militare pochi giorni prima della sua fine terrena.

La situazione è complicata dal fatto che il Colleoni non ha avuto nessun erede maschio ma ben otto figlie femmine e sa, in linea con la morale e le tradizioni consolidate dell’epoca, che far ereditare i suoi feudi alle figlie è un’impresa decisamente più ardua delle mille che ha affrontato sui campi di battaglia.

Per ovviare a ciò Bartolomeo tenta un piccolo escamotage: tre delle sue otto figlie hanno sposato uomini appartenenti alla famiglia Martinengo, clan fedelissimo al celebre condottiero. Alcuni dei nipoti del Colleoni avrebbero aggiunto il cognome materno a quello proprio, e quindi avrebbero potuto ereditare formalmente i territori posseduti dal nonno.

D’alto canto nel testamento, redatto pochissimi giorni prima della morte con il piglio deciso tipico della sua personalità, il comandate cerca di essere estremamente generoso nei confronti della città lagunare: il Colleoni lascia a Venezia ben 100.000 ducati, più tutte le paghe arretrate che la Serenissima doveva al condottiero stesso.

Ma ciò non basterà!

La Serenissima, senza batter ciglio, riprenderà il possesso e il controllo di quasi tutti i feudi del Colleoni, lasciando agli eredi soltanto due territori, tra cui il Castello di Malpaga.

In realtà Venezia disattese anche un’altra volontà riportata nel testamento: possiamo dire decisamente meno grave rispetto all’eredità dei feudi, ma molto interessante per la storia dell’arte.

Vediamo insieme questa sorpresa.

Sempre nel suo testamento, il condottiero bergamasco aveva richiesto la realizzazione di una statua equestre, che avrebbe perpetrato nei secoli la sua figura e le sue gesta eroiche compiute al servizio di Venezia. E tale statua doveva essere posta, secondo i desideri del Colleoni, addirittura in piazza San Marco.

La Serenissima fu categorica nel rifiutare tale collocazione, tanto più che il Colleoni non era nemmeno veneziano di nascita.

Ma il monumento fu realizzato lo stesso. Ed è qui che torniamo all’altro protagonista della nostra storia: Andrea del Verrocchio.

Il gran rifiuto dell’Andrea

Siamo nel 1479.

Dopo qualche anno dalla dipartita del Colleoni, la Serenissima decide di metter mano alla realizzazione del monumento equestre per rendere omaggio al suo celebre Capitano.

I notabili veneziani non prendono nemmeno in considerazione la possibilità di collocare la statua in piazza San Marco e decidono di far realizzare l’opera in campo Santi Giovanni e Paolo, nei pressi della basilica omonima e della scuola di San Marco.

In compenso, per realizzare il prestigioso monumento, la Serenissima chiama da Firenze Andrea del Verrocchio – senza dubbio lo scultore più celebre in circolazione in quel momento.

Ma sia l’ideazione che la realizzazione dell’opera non saranno certo una passeggiata.

È il 1481 quando il Verrocchio, con solerzia e maestria, elabora il primo modello del monumento equestre in onore del condottiero bergamasco.

Si tratta di un momento decisivo per l’intera storia dell’arte, perché opere di tal fatta – da fondere nel bronzo e di queste dimensioni – non se ne vedevano dall’epoca romana, precisamente dalla statua del Marco Aurelio capitolino a Roma.

Il precedente più illustre e più recente, in età rinascimentale, è senza dubbio il monumento equestre al Gattamelata – altro importante condottiero della Serenissima, al secolo Erasmo da Narni – realizzato da Donatello nella piazza del Santo a Padova, intorno al 1450, e primo monumento equestre fuso in bronzo dall’antichità.

Ma c’è una differenza sottile – e al tempo stesso decisiva – tra l’opera di Donatello e quella del Verrocchio.

Il cavallo di Donatello ha una zampa levata, ma che poggia su una sfera per pura necessità statica. Il cavallo del Verrocchio libra la sua zampa alta nell’aria, senza poggiare su nessun sostegno, in una soluzione ardita e mai tentata prima: un dettaglio che non è di poco conto.

A questo punto, elaborato il primo modello del monumento equestre, nei rapporti tra Venezia e il Verrocchio qualcosa va storto. E qui viene in nostro soccorso Giorgio Vasari che, nelle sue celebri Vite, ci tramanda a tal proposito un aneddoto eccezionale.

Lasciamo il campo direttamente al Vasari che, nel capitolo delle Vite dedicato ad “Andrea Verrocchio. Scultore Fiorentino”, scrive quanto segue:

“Il quale [Andrea del Verrocchio], poi che egli ebbe finito di terra e cominciato ad armare per gettarlo di bronzo, eraci molti gentiluomini che volevano che il Vellano da Padova facesse la figura, et Andrea il cavallo. De la qual cosa sdegnatosi, egli se ne tornò a Fiorenza avendo primo spezzato al cavallo le gambe e la testa. Il che intendendo la Signoria, gli fece intendere che non tornasse loro nelle mani, perché gli sarebbe tagliato il capo. Laonde egli le scrisse che sapeva rifare il capo a’ cavalli, ma ch’essi non avrebbono già saputo rapiccare la testa a gli uomini, né una simile a quella di Andrea”.

Una testimonianza straordinaria che dimostra il prestigio raggiunto dagli artisti nel Rinascimento, che potevano permettersi il lusso di fronteggiare a testa alta il potere politico, come più tardi farà Michelangelo in collera col papa Giulio II.

Come dice sempre il Vasari, la risposta sagace del Verrocchio piacque ai veneziani, che non tardarono a far ritornare l’artista in città per permettere allo scultore di concludere il suo monumento equestre.

Difficoltà di realizzazione di monumento equestre

Ma la fusione del bronzo è un’operazione tanto delicata quanto complessa.

Ne sa qualcosa Benvenuto Cellini, che a metà del ‘500 sarà impegnato nella difficilissima realizzazione della statua bronzea nota come il Perseo con la testa di Medusa, ancora oggi visibile sotto la loggia dei Lanzi in piazza della Signoria a Firenze.

E ne sa qualcosa anche Leonardo da Vinci che, proprio in quegli anni, a Milano tenta un’operazione analoga nel monumento equestre a Francesco Sforza. In questo caso, però, l’opera commissionata dal figlio di Francesco, Ludovico il Moro, non sarà mai realizzata: al momento della fusione, il bronzo ammassato per la statua venne requisito per forgiare i cannoni che avrebbero dovuto difendere (senza successo) Milano dall’assalto dei Francesi.

Anche al Verrocchio toccherà una sorte simile a quella di Leonardo: il grande maestro fiorentino muore a Venezia nel 1488, e come Leonardo non potrà portare a termine la statua.

La fusione del monumento equestre a Bartolomeo Colleoni, dopo la morte del Verrocchio, verrà affidata allo scultore veneziano Alessandro Leopardi, esperto fonditore in bronzo, che nell’anno 1492 portava a compimento l’opera su disegno e modello dello scultore toscano.

Il Leopardi realizzò anche l’alto basamento su cui è posta, ancora oggi, la scultura bronzea che l’artista veneziano tenne a fare propria aggiungendo, su una delle cinghie del cavallo, l’iscrizione “Alexander Leopardus V. F. Opus”.

Il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni veniva inaugurato nel 1496, nel campo Santi Giovanni e Paolo, il campo San Zanipolo dei veneziani.

Da più di 500 anni Bartolomeo Colleoni scruta così, fiero e accigliato, tutti i veneziani. Il cavaliere brandisce nella mano destra il bastone del comando, ma è il suo cavallo, che libra la zampa sinistra nell’aria, senza impaccio, a testimoniare la geniale e intrepida soluzione scultorea ideata dal Verrocchio.

“L’arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità.”
Pablo Picasso

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