I Codici di Leonardo da Vinci: parte seconda Sulle tracce dei manoscritti del Maestro

Il Codice Atlantico è la collezione più ampia e straordinaria di fogli leonardiani che si conosca

Eccoci giunta alla seconda e ultima parte del misterioso mondo dei:

  • Codici di Leonardo da Vinci.

Nel primo articolo sui codici di Leonardo da Vinci, abbiamo parlato dell’incredibile storia di Guglielmo Libri. Il matematico e storico italiano naturalizzato francese che aveva sottratto con una tecnica pazzesca alcune delle preziosissime pagine dai codici di Leonardo da Vinci conservati all’Institut de France.

Oggi andiamo ancora di più a ritroso nel tempo per capire altri misteri legati a questi manoscritti. Da chi furono custoditi i codici di Leonardo da Vinci dopo la morte del Maestro? Come mai oggi si trovano dislocati in varie parti d’Europa? Sono tutti noti i codici di Leonardo da Vinci o qualcuno è rimasto per sempre obliato nelle pieghe della storia?

Per scoprire tutto ciò, ci tocca andare sempre indietro nel tempo. Partiamo allora.

I codici di Leonardo da Vinci: storia di un allievo

Vaprio d’Adda, anno 1570.

Un sole rigenerante inondava con la sua luce avvolgente e il suo tepore primaverile le terrazze della Villa Melzi. La rigorosa mole rinascimentale dell’edificio era stemperata dalla dolcezza dei giardini che digradavano verso il naviglio Martesana e il fiume Adda. Il corso d’acqua scorreva placido e sembrava trasportare con il suo flusso lento anche i pensieri dell’uomo che, ormai anziano, godeva di quel panorama ineguagliabile.

Come spesso accade nel tramonto della vita, l’uomo pensava alla sua gioventù. Agli anni in cui era stato l’ombra stessa del Maestro. Lo stesso Maestro che più volte era stato ospite nella sua villa di famiglia lì a Vaprio d’Adda e che si era affacciato pensoso da quelle stesse terrazze. Dove si aveva un punto di vista privilegiato sui corsi d’acqua sottostanti, acqua che Leonardo da Vinci osservava per i suoi studi sull’idraulica.

Ma Francesco Melzi, l’allievo preferito di Leonardo da Vinci, per ricordare i suoi anni al fianco del Maestro poteva far affidamento anche ad altro oltre ai ricordi.

Bastava lasciarsi le terrazze della villa alle spalle e rientrando in casa avrebbe abbracciato con un unico sguardo una meraviglia autentica. Sui tavoli del suo studio erano sparsi ordinatamente tutti i codici di Leonardo da Vinci.

Manoscritti, trattati, taccuini, quaderni, fogli sparsi. Tutti fitti di appunti, notazioni e postille redatte con l’inconfondibile scrittura di Leonardo da destra verso sinistra. E poi disegni, disegni ovunque. Tra i testi scritti, ai margini dei fogli, tratteggiati sul retro delle pagine. Cavalli, teste grottesche, corpi umani, edifici religiosi a pianta centrale, un abbozzo di città pianificata nei dettagli, macchine idrauliche, bombarde, canali, fiumi e paesaggi. E chi più ne ha più ne metta.

In una sola stanza, Francesco Melzi poteva ammirare e leggere unicamente per sé tutti i codici di Leonardo da Vinci.

I codici di Leonardo da Vinci: da Vaprio d’Adda alla dispersione

Ma cosa ci facevano in quel bellissimo edificio rinascimentale, sulle sponde dell’Adda, i codici di Leonardo da Vinci allineati e ordinati uno vicino all’altro?

Come anticipato, Francesco Melzi – erede di un importante casato milanese – era diventato in giovanissima età allievo di Leonardo. E da quel momento il giovane aveva seguito il Maestro ovunque, diventando di fatto il suo braccio destro.

Quando Leonardo si trasferì in Francia alla corte del re Francesco I, Francesco Melzi era con lui. E qui si prese cura del Maestro che, pur non troppo anziano, iniziava ad accusare seri problemi di salute.

Quando il genio toscano morì nel 1519, per sua volontà testamentaria, tutti i codici di Leonardo da Vinci passarono nelle mani di Francesco Melzi.

L’allievo decise di portare i codici di Leonardo da Vinci da Amboise, in Francia, alla sua villa a Vaprio d’Adda, a due passi da Milano. E qui i codici di Leonardo da Vinci rimasero tutti insieme almeno fino al 1570, anno in cui morì lo stesso Francesco Melzi.

Orazio Melzi, figlio di Francesco, si disinteressò completamente dei codici di Leonardo da Vinci. E da questo momento in poi, i manoscritti iniziarono a girovagare per l’Europa intera.

I manoscritti in giro per l’Europa

Si dice che lo stesso Orazio “conservasse” i codici di Leonardo da Vinci nel sottotetto della villa. E chiunque ne faceva richiesta poteva osservarli e studiarli. In questo contesto, nel 1585, avvenne il primo furto di tredici manoscritti ad opera di Gavardi d’Asola. Un uomo che era di casa alla villa di Vaprio d’Adda, in qualità di tutore di famiglia dei Melzi.

Qualche anno dopo, il religioso Ambrogio Mazenta riuscì a recuperare i manoscritti sottratti indebitamente. Ma i codici rimasero nella mani del canonico perché Orazio Melzi, quasi in maniera sfacciata, continuava a ignorarne l’importanza.

Come al solito, fu una mera questione di denari a smuovere Orazio. E l’occasione si presentò quando Pompeo Leoni, scultore al servizio del re di Spagna, si presentò a Milano. Pronto a tutto pur di portare con sé a Madrid i preziosi codici di Leonardo da Vinci.

A quel punto Orazio Melzi si recò dal Mazenta, pregandolo in ginocchio di restituirgli i codici. Orazio riuscì a riottenere soltanto sette dei tredici manoscritti. E questi sette codici, venduti da Orazio al Leoni a peso d’oro, nel 1590 presero la via per Madrid insieme ad altro materiale leonardesco razziato dallo scultore.

In 20 anni, si era consumato un processo di dispersione dei codici di Leonardo da Vinci che da quel momento in poi divenne inarrestabile. Alla morte di Pompeo Leoni nel primo decennio del ’600, alcuni manoscritti – tra cui il Codice Atlantico – fecero ritorno a Milano, alla Biblioteca Ambrosiana. Altri rimasero in Spagna e altri ancora, invece, presero la strada per Londra.

Fino alla fine del ‘700, i codici di Leonardo da Vinci erano suddivisi quindi tra tre grandi città europee: Milano, Madrid e Londra. Ma l’avvento di Napoleone era destinato a sconvolgere ulteriormente la geografia dei codici di Leonardo da Vinci.

Il Codice Atlantico

Corre l’anno 1795 quando Napoleone prende possesso dei codici di Leonardo da Vinci conservati presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, facendoli trasferire in Francia. Alcuni volumi sono rimasti per sempre a Parigi e oggi sono noti appunto come “manoscritti di Francia”.

Mentre il Codice Atlantico, forse il più famoso dei codici di Leonardo da Vinci, dopo il Congresso di Vienna del 1815 venne fortunatamente riportato a Milano. E ancora oggi è conservato in splendida forma nella Biblioteca Ambrosiana.

Questa raccolta deve il suo nome all’utilizzo di fogli di grandi dimensioni, su modello di un atlante per intenderci. Non si tratta di un originale ma di una sorta di “patchwork”, ideato e messo in opera dallo stesso Pompeo Leoni. Lo scultore, una volta giunto a Madrid, aveva operato abbastanza arbitrariamente sui testi di Leonardo razziati a Milano. E munito di forbici e colla aveva prima smembrato i manoscritti originari e poi, insieme ad altri fogli sparsi, li aveva ricomposti nel cosiddetto Codice Atlantico.

Malgrado ciò, il Codice Atlantico rappresenta comunque l’opera più straordinaria giunta fino a noi tra i codici di Leonardo da Vinci. Sia per grandezza che per ampiezza dei contenuti trattati ma anche a livello cronologico. Il Codice Atlantico copre infatti circa 40 anni della carriera di Leonardo, dal 1478 al 1519 – anno della sua morte avvenuta in Francia.

Dopo la morte del Leoni nel 1608, i suoi eredi vendettero il Codice Atlantico a Galeazzo Arconati. Il conte, a sua volta, nel 1637 donò l’opera alla Biblioteca Ambrosiana. E ancora oggi il Codice Atlantico è conservato a Milano, se si esclude il periodo in cui fu a Parigi (dal 1795 al 1815).

I codici di Leonardo da Vinci: il mistero prosegue

Nel 1966, all’interno della Biblioteca Nazionale di Madrid venne fatta una scoperta sensazionale. Furono riportati alla luce, sepolti sotto la polvere degli archivi, due codici di Leonardo da Vinci praticamente intatti. Manoscritti che da quel momento furono noti come “Codici di Madrid”.

La perdita dei codici era stata forse dovuta ad un errore di trascrizione negli elenchi degli archivi quando nel 1830 i volumi, di proprietà dei reali spagnoli, venenro trasferiti dal Palazzo alla Biblioteca reale.

Nel 1966, quasi un secolo e mezzo dopo, i Codici di Madrid furono scovati quasi per magia. E la loro riscoperta andò ad alimentare ulteriormente l’ombra di mistero che da sempre aleggia sui codici di Leonardo da Vinci.

“La riscoperta dei codici di Madrid ha accresciuto notevolmente (si calcola circa del venti per cento) la nostra conoscenza di Leonardo e ha anche fatto rinascere la speranza di poter recuperare altri suoi manoscritti che col Leoni avevano preso la via della Spagna” (Marco Cianchi).

È possibile che, ancora oggi, altri codici possano saltare fuori dagli scaffali delle biblioteche di Milano, Parigi o Londra?

O ancora che alcuni fogli vergati dall’inconfondibile mano di Leonardo vengano scovati nelle soffitte di palazzi nobiliari o tra il ciarpame di vecchi rigattieri?

In effetti, sembra quasi inverosimile, ma l’incredibile scoperta di Madrid è avvenuta solo qualche decennio fa.

Quello che è certo e che i codici di Leonardo da Vinci continuano a stupire ancora oggi milioni di persone. Mentre in passato sono stati l’ossessione di tanti uomini che per i codici di Leonardo da Vinci sono stati capaci di vendere letteralmente l’anima al diavolo.

“L’arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità.”
Pablo Picasso

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