La Galleria Nazionale delle Marche ad Urbino 1 itinerario in 5 opere tra le sale del Palazzo Ducale

Un taglio netto, un gradino, un’intaccatura interrompe bruscamente l’architettura facciale, crea spazio letteralmente per il nulla. Un nulla che però – è innegabile – rende consapevoli dell’esistenza del resto. Nessun altro ha mai avuto un naso simile e questo è diventato il naso d’Italia

Oggi siamo tra le sale del Palazzo Ducale di Urbino, edificio rinascimentale tra i più belli e gloriosi d’Italia al cui interno vengono custodite le opere della

  • Galleria Nazionale delle Marche.

I 5 capolavori nel nostro consueto percorso di visita non possono non omaggiare quel periodo storico senza pari che è stato il Rinascimento italiano.

Una fase di rinnovamento e splendore che ha visto proprio Urbino diventare uno dei suoi maggiori centri propulsori.

Vedremo che tale splendore fu possibile grazie alla figura di un solo uomo che guidò la città e i possedimenti del Montefeltro dal 1444 al 1482, anno della sua morte.

Tra poche righe scopriremo insieme chi è l’uomo dal famosissimo “particolare anatomico” che tanto lustro porto a sé e alla città di Urbino. Ma prima vediamo cosa ci riserva al suo interno la Galleria Nazionale delle Marche.

Tra le sale della Galleria Nazionale delle Marche

Nell’itinerario tra le sale della Galleria Nazionale delle Marche vedremo insieme:

  • il luogo di meditazione del Signore di Urbino,
  • una tavoletta enigmatica dipinta da uno dei massimi pittori del ‘400,
  • l’idealizzazione pittorica di una città ideale,
  • una pala suntuosa di un artista di Urbino poco noto
  • e un capolavoro di uno dei più grandi pittori di sempre che nacque proprio in questa città.

La Galleria Nazionale delle Marche prende posto tra le splendide sale del Palazzo Ducale di Urbino: sublime sintesi architettonica della raffinata cultura di corte e dell’arte delle armi del Signore rinascimentale che volle questo portento.

Un naso per la gloria

Urbino, anno 1451.

Il torneo cavalleresco indetto per omaggiare Francesco Sforza – da poco diventato Duca di Milano – sta per avere inizio con il suo immancabile corredo di sbandieratori, trombettieri, dame e cavalieri pronti a sfidarsi.

In questa atmosfera dal sapore fiabesco, il Signore di Urbino è uno dei primi a partecipare al torneo in groppa al suo destriero e addosso un’armatura scintillante.

Il suo avversario è un giovane baldanzoso di Urbino già noto per aver vinto svariati tornei. Nel primo combattimento tutto fila liscio e il Conte raggiante viene omaggiato dalla folla festante.

Ma al secondo giro qualcosa va storto. La punta della lancia del rivale scivola sull’armatura del Conte e si incunea infima nella visiera all’altezza degli occhi.

Il dolore è lancinante. Il Conte emette un grido inumano per la sofferenza. Gli spettatori ammutoliscono nell’attesa di notizie rassicuranti.

Il Conte non è in pericolo di vita ma la lancia del giovane ha tranciato il naso all’altezza dell’attaccatura accecandogli completamente l’occhio destro.

Il futuro Duca di Urbino, a terra dolorante, si chiede non “come potrò vivere con un occhio soltanto?” ma “come riuscirò a fare tutto quello che devo con un solo occhio?”.

Già perché Federico da Montefeltro, malgrado l’occhio perso e il naso con il famoso “scalino”, riuscirà comunque a diventare uno dei condottieri più coraggiosi e temuti del secolo e uno dei mecenati più illuminati del suo tempo.

E di questa magnificenza personale ne godrà direttamente Urbino che, da piccolo borgo di collina, diventerà uno dei centri propulsori dell’intera stagione del Rinascimento.

Da quel fatidico giorno del 1451, Federico si farà ritrarre esclusivamente con in mostra il profilo sinistro – quello con l’occhio sano – come nella famosa Pala Montefeltro, opera di Piero della Francesca e oggi esposta alla Pinacoteca di Brera di Milano.

1 di 5: lo Studiolo del Duca

È doveroso iniziare il nostro percorso in cinque opere tra le sale della Galleria Nazionale delle Marche ad Urbino dalla stanza nota come lo:

  • Studiolo del Duca.

In questo ambiente, realizzato intorno al 1476, ci troviamo immersi nella raffinatezza artistica e culturale di cui amava circondarsi Federico da Montefeltro. Luogo allo stesso tempo di ritiro e meditazione e di ostentazione e celebrazione della gloria del Duca.

Siamo nella stanza più intima del cosiddetto “Appartamento del Duca” al piano primo del Palazzo Ducale, all’interno del percorso espositivo della Galleria Nazionale delle Marche.

Lo Studiolo, meraviglia assoluta e sintesi del gusto artistico rinascimentale, si divide in tre parti principali.

La prima è costituita dallo splendido soffitto a lacunari in legno intagliato – opera della bottega fiorentina guidata da Benedetto da Maiano – e riportante Emblemi e Onorificenze di Federico.

La seconda parte è la fascia mediana sulle pareti in cui, su due registri, vengono raffigurati i ritratti di 28 Uomini Illustri. Si tratta di vari personaggi (filosofi, poeti papi) il cui compito è quello di ispirare l’azione morale, politica e culturale del Duca. Il ciclo degli Uomini Illustri fu realizzato dagli artisti “stranieri” Giusto di Gand (fiammingo) e Pedro Berruguete (spagnolo). Oggi, dei 28 ritratti presenti solo 14 sono originali mentre gli altri 14 sono delle copie.

La terza parte è la fascia inferiore alle pareti costituita da pregevoli tarsie lignee. Sempre per mano della bottega dei da Maiano, le tarsie sono una sintesi mirabile dell’applicazione dell’illusione prospettica tipica dell’arte rinascimentale. In una confusione solo apparente, nelle tarsie lignee dello Studiolo si trova rappresentato di tutto: armadi aperti con libri, strumenti musicali, uno scoiattolo, un orologio e il Duca stesso a riposo come simbolo dell’otium e della vita contemplativa.

2 di 5: la Flagellazione di Piero della Francesca

Sarebbe impossibile percorrere le sale della Galleria Nazionale delle Marche senza parlare di Piero della Francesca, uno dei massimi pittori e teorici del ‘400 italiano.

All’interno della Sala delle Udienze, situata proprio tra i torricini, si trovano esposte ben due opere di questo artista – vanto assoluto della Galleria Nazionale delle Marche.

La prima è la Madonna di Senigallia, commissionata da Federico per le nozze della figlia Giovanna con Giovanni della Rovere Signore di Senigallia ed eseguita tra il 1474 e il 1478.

La seconda è la mitica:

  • Flagellazione

una piccola ma grandiosa tempera su tavola, enigmatica composizione pittorica tra le più affascianti del Rinascimento italiano.

L’unica cosa certa è che si tratta di un’opera di Piero che impresse la sua firma nella fascia terminale del basamento su cui è seduto Pilato. Nella parte sinistra dell’opera si legge: “Opus Petri de Burgo Sci Sepulcri”.

Per il resto il quadro è avvolto nel mistero, specie per l’identificazione dei tre personaggi rappresentati in primo piano sulla destra. Qualcuno ha tentato di riconoscere nell’uomo biondo al centro Oddantonio, fratellastro di Federico morto nel 1444.

Un elemento certo è la raffigurazione dell’uomo col turbante di spalle vicino al Cristo. Si tratta, forse, di una rappresentazione della minaccia dell’invasione dei Turchi specie dopo la dolorosa caduta di Costantinopoli nel 1453. Non dimentichiamo che il quadro è stato dipinto tra il 1454 e il 1460, quindi appena dopo la tragica fine dell’Impero Romano d’Oriente per mano dei Turchi.

Ma al di là dell’identificazione iconografica, quello che colpisce ancora oggi nella piccola tavola di Piero è la perfetta impaginazione prospettica della composizione – in linea con la tradizione rinascimentale e con gli studi teorici del pittore stesso.

3 di 5: la Città Ideale

Ideali rinascimentali ed enigma, sono gli elementi caratteristici di un altro capolavoro presente nella Galleria Nazionale delle Marche.

Si tratta della cosiddetta vista di:

  • Città Ideale

dipinta negli anni ’80 del ‘400 da un non meglio identificato pittore dell’Italia centrale e posta sempre nelle stanze dell’Appartamento del Duca.

Per alcuni parallelismi con il progetto del Palazzo Ducale, il pittore di questa tavola è stato identificato anche con l’architetto dalmata Luciano Laurana che lavorò ad Urbino alle dipendenze di Federico proprio in quegli anni.

L’unica cosa certa del quadro è lo spettacolare utilizzo della prospettiva scientifica.

Uno splendido tempio centrale è inquadrato in due quinte laterali di edifici, in fuga prospettica verso un punto posto in lontananza alle spalle dell’edificio principale.

La piazza, con la sua razionale scacchiera, esalta ancor di più l’idea delle perfette proporzioni e delle corrispondenze geometriche. Mentre l’assenza di qualsiasi figura umana dà al quadro un sapore metafisico ed irreale per chi si immerge nella contemplazione di questa opera rara presente nella Galleria Nazionale delle Marche.

4 di 5: la Pala Arrivabene di Timoteo Viti

La Galleria Nazionale delle Marche pullula di pittori famosissimi come Paolo Uccello, Tiziano o Guido Reni. Ma ben rappresentati sono anche i pittori “locali” e tra questi spicca il poco conosciuto Timoteo Viti, autore della cosiddetta:

  • Pala Arrivabene

eseguita nel 1504 per una delle cappelle del Duomo di Urbino ed oggi esposta tra le sale della Galleria Nazionale delle Marche.

La tavola rappresenta i santi Tommaso Beckett e Martino con il vescovo Giovan Pietro Arrivabene e il duca Guidubaldo (sulla destra della composizione). Il pittore ancora una volta usa con sapienza la prospettiva. Alle spalle del podio, su cui sono issati i due santi, si apre una scenografica arcata in rovina che incornicia un dolce e verdeggiante paesaggio collinare.

La pala fu eseguita in onore del vescovo Giovan Pietro Arrivabene, morto proprio nel 1504 e raffigurato a sinistra nell’opera, adorante in preghiera dei santi e della croce in cristallo.

5 di 5: la Muta di Raffaello

Non si può lasciare la Galleria Nazionale delle Marche senza ammirare uno dei capolavori di Raffaelo qui esposti:

  • il Ritratto di gentildonna detto la Muta

dipinto dal grande pittore urbinate tra il 1505 ed il 1509 ed esposto in una delle sale dell’Appartamento della Duchessa insieme con la pala Arrivabene.

Il quadro è conosciuto con questo nome perché la donna ivi ritratta serra le labbra come se non potesse proferire parola. La donna, raffigurata di tre quarti alla maniera di Leonardo, è Giovanna Feltria figlia di Federico da Montefeltro.

Il quadro fu dipinto dopo la morte del marito di Giovanna, il Signore di Senigallia Giovanni della Rovere: il fazzoletto che Giovanna stringe nella sua mano è proprio uno dei tipici simboli della vedovanza.

Lo sguardo austero, penetrante ed enigmatico della donna ha consegnato questo quadro al mito che nel 1975 fu rubato ma subito prontamente recuperato ed ora perno del percorso espositivo all’interno della Galleria Nazionale delle Marche.

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“L’arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità.”
Pablo Picasso

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